giovedì 5 novembre 2015
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​Blanche, la mamma di Wilma, capì che la figlia non aveva più bisogno della pesante scarpa ortopedica quando la vide giocare a basket a piedi nudi. Capì che il calvario cominciato otto anni prima era finito. Capì che tanti sacrifici erano serviti a qualcosa. Quel che non poteva sapere, e neanche sognare, era che otto anni dopo Wilma avrebbe vinto tre medaglie d’oro alle Olimpiadi. Wilma Rudolph nasce a Clarksville, Tennessee, Usa, nel 1940. Prematura, pesa appena due chili e la sua infanzia è piena di malattie, fino alla poliomielite che in quegli anni colpisce 370mila bambini americani, moltissimi dei quali muoiono o restano invalidi. Wilma è la sesta degli otto figli che Ed Rudolph, facchino, ha dalle seconda moglie Blanche, dopo averne avuti 14 dalla prima moglie, morta. In tutto, in casa sono 22 fratelli. Una famiglia meravigliosa e poverissima. A 4 anni il dottore dice a Blanche: sua figlia non camminerà mai più. Ma la mamma non si arrende. Per anni accompagna Wilma all’ospedale per neri dell’Università per neri di Nashville, a 80 chilometri di distanza, due volte alla settimana. La bambina porta un apparecchio di metallo alla gamba sinistra. Poi una scarpa ortopedica. Poi corre a piedi nudi. Ha vinto la sua gara contro la malattia. È campionessa per la prima volta. Ma correre è così bello… A 12 anni gioca nella squadra di basket della scuola. Impossibile fermarla. L’allenatore di atletica la chiama. La mette in pista. Nessuna è più veloce di lei. Nel 1956, alle Olimpiadi di Melbourne, ha 16 anni e vince il bronzo nella staffetta. Poi arrivano le Olimpiadi di Roma del 1960. Ha 20 anni, è veloce e bella, aggraziata, alta e filiforme (180 centimetri per 59 chili). Vince i 100 metri, i 200 e la staffetta 4x100. Per gli italiani è la “Gazzella nera”, per i francesi la “Perla nera”, per gli americani il “Tornado del Tennessee”. Due anni dopo smette di correre perché l’atletica non la fa guadagnare abbastanza per vivere. Si sposa, ha 4 figli, aiuta altre atlete con i suoi consigli. Alla fine, a 54 anni, un tumore se la porta via. Una volta ha detto: «Vincere è bellissimo, ma se vuoi veramente fare qualcosa nella tua vita, il segreto è imparare a perdere. Nessuno può essere sempre imbattibile. Se riesci a riprenderti dopo una sconfitta e ad andare avanti e a vincere un’altra volta, un giorno sarai campione».
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