Si saranno sbagliati, pensarono la prima volta gli avversari vedendolo in campo con la maglia numero 11, quella dell’ala. L’ala è il giocatore più veloce di tutti. Uno sprinter. Ma quel gigante maori con la casacca nera degli All Blacks, la nazionale della Nuova Zelanda, era alto 196 centimetri e pesava 120 chili, e lo sanno tutti: se sei alto e muscoloso, non puoi essere veloce; se sei veloce e guizzante, non puoi avere tutto quel peso da spostare. Ma lui era Jonah Lomu, l’atleta che “non poteva esistere” eppure esisteva. Correva i 100 metri in 10”4’. Avrebbe stravinto in ogni sport. Ma, da buon neozelandese, era innamorato del rubgy. Le squadre Usa di football gli offrivano stipendi stratosferici ma lui niente, faceva il rugbista.Il mondo si accorse di lui il 18 giugno 1995. A Città del Capo, in Sudafrica, si giocava la semifinale di Coppa del Mondo. Nuova Zelanda contro Inghilterra. Dopo 20 minuti la palla arriva a Lomu. Ha appena 20 anni e ha esordito in nazionale a 19, il più giovane a giocare negli All Blacks. Lomu si piazza l’ovale sotto il braccio sinistra e va. Aggira Underwoond, l’inglese più veloce. Si scrolla di dosso Carling, il capitano, come un albero con una foglia secca. Rimane Catt, l’estremo, ossia l’ultimo difensore: Lomu lo calpesta letteralmente e va in meta. Catt un giorno dirà: “Almeno, passandomi sopra mi ha reso famoso”.Quel giorno Lomu segna quattro mete. Quel giorno Comincia la leggenda del giocatore di rugby più forte del mondo. Ma quel giorno comincia anche la sua fine. Lomu è già malato: una malattia degenerativa dei reni. Una carriera magnifica ma breve, la sua. Eppure nessuno, proprio nessuno riusciva a fermarlo quando prendeva velocità. Era uno spettacolo. Racconta l’italiano Stefano Bordon, che affrontò gli All Blacks a Bologna nel 1995: “Alla fine, non so come, riuscii a placcarlo e lo stadio esplose in un boato, neanche avessi segnato una meta”.Lomu era grande, grosso e veloce. E anche buono, molto buono e gentile. Non diceva mai no a nessuna iniziativa benefica. Non umiliava mai gli avversari e li rispettava sempre. Nessuno lo ha fermato, tranne la malattia. Jonah è morto ad appena 40 anni la settimana scorsa. Diceva: “Vorrei vedere i miei due bambini diventare maggiorenni”. Non ci è riuscito… In Paradiso ci sarà arrivato di corsa, palla sotto il braccio. E se qualche diavolaccio avrà provato a placcarlo, povero lui.