martedì 24 marzo 2015
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​Con le sue prediche quotidiane e il suo modo di parlare per immagini, papa Francesco in questi due anni di pontificato ci ha accompagnati per mano alla scoperta di come siamo fatti nel cuore. Spesso, in particolare, ci ha messo in guardia da comportamenti e atteggiamenti sbagliati, che a lungo andare rischiano di rovinare l’anima, di distruggere i rapporti buoni e di lasciarci soli. Ci ha indicato, insomma, alcuni vizi che possono essere aggiunti ai classici sette tradizionalmente ricordati dalla Chiesa. Tra questi ce n’è uno, in particolare, al quale il Pontefice ha deciso di dedicare tutta la Quaresima: l’indifferenza. Nel consueto messaggio che il Papa invia in occasione dei quaranta giorni che precedono la Pasqua, troviamo una riflessione che ci coinvolge tutti: «Succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai) – scrive il Papa – e non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… Allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene». Ma la cosa davvero grave è che questo atteggiamento egoistico, secondo il Papa, non riguarda solo la sfera dei rapporti personali: l’indifferenza, infatti, oggi ha una «dimensione mondiale», tanto che per Francesco ormai possiamo parlare di una «globalizzazione dell’indifferenza». Ciò significa che essere indifferenti agli altri non è più solo un vizio di alcune culture o di alcuni Paesi, ma è diffuso in tutti i continenti. Il passo successivo all’indifferenza, insegna il Papa, è l’onnipotenza: se continuiamo a ignorare le sofferenze altrui è normale a un certo punto sentirsi immuni da qualsiasi dolore. Se impariamo, invece, ad ascoltare le richieste di aiuto di chi ci sta vicino, capiamo che anche noi dipendiamo dagli altri, che nessuno può farcela da solo, che la nostra vita è segnata sempre dai limiti della natura umana. Solo così sapremo apprezzare l’amore che spinge Dio a non lasciare mai l’uomo da solo. La convinzione di essere onnipotenti, infatti, genera solitudine: nessuno vuole avere a che fare con chi pensa di essere superiore a tutti. Chi impara a mettersi al fianco degli altri, come ha fatto Dio, invece, costruisce una comunità, supera la solitudine e diventa un piccolo seme di speranza «in mezzo al mare dell’indifferenza».
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