Papa Francesco con il Moderatore della Chiesa di Scozia (destra) e l'arcivescovo di Canterbury (sinistra) - Ansa / Vatican Media
È già sera quando l’arcivescovo di Canterbury e il moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia si trasferiscono insieme al corteo papale nel parco del mausoleo di John Garang, che nel 2011 portò all’indipendenza il Sud Sudan.
Per la preghiera ecumenica si sono dati appuntamento in 50mila. È il momento clou di questa inedita visita condivisa in tre, tra cristiani, per dare seguito a un processo di pace in un Paese dilaniato dai conflitti. «Qui, lungo i decenni, le comunità cristiane si sono fortemente impegnate nel promuovere percorsi di riconciliazione – ha detto papa Francesco –. Io vorrei ringraziarvi per questa luminosa testimonianza di fede, nata dal riconoscere non solo a parole, ma nei fatti, che prima delle divisioni storiche c’è una realtà immutabile: siamo cristiani, siamo di Cristo» e ha voluto sottolineare come «in mezzo a tanta conflittualità, l’appartenenza cristiana non abbia mai disgregato la popolazione, ma è stata, ed è tuttora, fattore di unità».
Le Chiese cristiane, che collaborano nel Consiglio delle Chiese del Sud Sudan, sono ancora oggi le uniche istituzioni nazionali che lavorano seriamente per la riconciliazione con il sostegno solidale delle altre Chiese africane e nel mondo e della Santa Sede. In questi anni i vescovi, i missionari e altri leader cristiani non hanno mai cessato di denunciare la drammatica situazione umanitaria causata dalla guerra e dalla fame e innumerevoli sono stati gli appelli alle parti in conflitto e alla comunità internazionale per la pace e la riconciliazione.
È da questo che nasce l’impegno fattivo della comunità cristiana per la riconciliazione che ha portato alla mediazione in cui le Chiese locali sono state coinvolte sin dai primi anni di vita del nuovo Stato.
Impegno che ha portato nel 2013 il presidente Salva Kiir a chiamare il vescovo emerito di Torit, monsignor Paride Taban e l’arcivescovo anglicano Daniel Deng Bul a guidare un nuovo comitato incaricato di promuovere il processo di riconciliazione nazionale, fino all’incontro di tre anni fa in Vaticano con papa Francesco.
«Riconosciamo di essere qui su vostro invito e vi ringraziamo per questo. La visita è stata promessa durante il ritiro spirituale in Vaticano nel 2019», ha sottolineato il moderatore della Chiesa di Scozia, reverendo Iain Greenshields: «C’è una forte eredità di Chiese che lavorano insieme per la pace e la riconciliazione in Sud Sudan che hanno svolto un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell’indipendenza della Nazione in modo pacifico. Speriamo di incoraggiare l’unità continua delle Chiese per il bene comune in Sud Sudan, per la giustizia e la pienezza di vita per tutto il popolo».
«L’eredità ecumenica del Sud Sudan è un tesoro prezioso, una lode al nome di Gesù, un atto di amore alla Chiesa sua sposa, un esempio universale per il cammino di unità dei cristiani – ha ripreso il Papa – È un’eredità che va custodita nel medesimo spirito: le divisioni ecclesiali dei secoli passati non si ripercuotano su chi viene evangelizzato, ma la semina del Vangelo contribuisca a diffondere una maggiore unità».
Francesco non ha quindi risparmiato di condannare il tribalismo e la faziosità che alimentano le violenze nel Paese affinché non intacchino i rapporti interconfessionali: «Carissimi, chi si dice cristiano deve scegliere da che parte stare. Chi segue Cristo sceglie la pace, sempre; chi scatena guerra e violenza tradisce il Signore e rinnega il suo Vangelo… "Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi": questo è il comandamento di Gesù, che contraddice ogni visione tribale della religione».
«Che “tutti siano una sola cosa” questa è l’accorata preghiera di Gesù al Padre per noi credenti. Coloro che scelgono di seguire Cristo entrano in una nuova comunità, dove non ci sono divisioni. Entrano in nuove relazioni e in un modo completamente nuovo di vivere – ha ammonito da parte sua l’arcivescovo anglicano di Canterbury Welby – perché l’essere cristiano porta tutti nella comunione dei credenti. Non importa se proveniamo da Paesi diversi, da denominazioni diverse, da tribù diverse. Il sangue di Cristo ci unisce, indipendentemente dalle nostre differenze. Basta da solo per la nostra salvezza. Non abbiamo bisogno di altri sacrifici».
L’Arcivescovo anglicano ha quindi usato parole forti con chi si proclama cristiano e maltratta o violenta le donne: «Oltre al dolore del conflitto e alla responsabilità di occuparsi delle famiglie, molte vivono il trauma della violenza sessuale e la paura quotidiana di subire maltrattamenti nelle proprie case… Se siamo una cosa sola, valorizziamo e onoriamo le donne. Valorizzerete e onorerete le donne, senza mai violentarle, senza mai essere violenti, senza mai essere crudeli, senza mai usarle come se fossero lì per soddisfare il desiderio».
Papa Francesco ha richiamato a pregare, operare e camminare insieme. «Abbiamo intrapreso questo Pellegrinaggio di Pace come non si era mai fatto prima, mai – ha concluso Welby –. Non possiamo, non vogliamo essere divisi».