Oltre l'euroscetticismo, per essere forza e non fortezza
sabato 25 maggio 2019

L’Europa è lontana, ma è anche causa dei nostri mali. L’Europa è complicata, ma si intuisce facilmente che non funziona come dovrebbe. L’Europa ci ingabbia con il rigore di bilancio e la rigidità burocratica, ma poi si rivela inefficiente e incapace di migliorare la situazione economica. Se si mettono in fila le critiche alla Ue risuonate nella campagna elettorale emergono le contraddizioni che gli euro-scettici hanno inanellato e che hanno creato la cornice del dibattito. Perché la retorica di un’Unione che in ogni caso è da riformare radicalmente ha costituito il sottofondo continuo dell’avvicinamento al voto di oggi per il rinnovo dell’Assemblea di Strasburgo.

Non si può attribuire solo ai sovranisti il riflusso dall’europeismo alla chiusura nazionalistica. Politici opportunisti non mancano mai, spesso però c’è chi sa cogliere e dare forma a umori e sentimenti che si agitano sotto la superficie del dibattito pubblico. Dieci anni di crisi, una globalizzazione con cui è difficile fare i conti e i flussi migratori apparsi progressivamente più come problema che come risorsa sono diventati la raffigurazione di uno spazio europeo in cui le istituzioni nazionali e sovrannazionali non hanno saputo concordare e agire per contrastare il peggioramento della condizione dei cittadini.

Ma dobbiamo chiederci se questa raffigurazione, frutto anche di un’era in cui la comunicazione digitale è diventata rapida e caotica, più epidermica che meditata, sia la vera descrizione delle nostre vite all’inizio del XXI secolo. Scrive il noto sociologo francese Alain Touraine, nel suo saggio appena tradotto In difesa della modernità: «Oggi il mondo si divide in tre zone: la zona dominata da un capitalismo sempre più finanziario e mondializzato, dove il potere è concentrato nelle mani di un piccolissimo gruppo di "hyper rich" multimiliardari; la zona dei regimi autoritari e totalitari, dominati dal nazionalismo; e, infine, la zona dei regimi comunitaristi e identitari nei quali la passione predominante consiste nell’odio per l’altro».

A questa immagine sconfortante si può contrapporre quella che disegna Steven Pinker nel suo recente Illuminismo adesso, dove lo scienziato cognitivo americano descrive la nostra era, sulla scorta di un’ampia serie di dati oggettivi, come la più prospera, meno violenta e più ricca di opportunità, quella che offre la maggiore aspettativa di vita in un ambiente fisico reso accogliente e in un ambiente sociale e politico libero e aperto come mai nella storia.

Chi ha ragione in questa stridente contraddizione? Nessuno completamente. Non viviamo certo nel Paradiso terrestre. Eppure, la tentazione di vedere sempre l’aspetto negativo, alimentata dalle logiche informative e dalla dialettica politica, ci ha fatto troppo spesso dimenticare che l’Europa dei 28 Paesi associati è probabilmente la zona a cui il quadro ottimistico dipinto da Pinker assomiglia maggiormente. La Cina cresce più di noi e si è data un chiaro progetto imperiale ed espansionistico, al prezzo tuttavia di diritti umani assai sacrificati e di un controllo sociale che si fa asfissiante con il ricorso alle nuove tecnologie informatiche. Gli Stati Uniti restano la terra delle opportunità con un dinamismo invidiabile e mai calante, eppure per chi non riesce a cavalcare l’onda le reti di protezioni sono poche e insufficienti a confronto della nostra tradizione di welfare, che evita le diseguaglianze più acute. La Russia prova a seminare zizzania per non avere un vicino forte e coeso ai propri confini e continuare a estendere la propria influenza geopolitica con obiettivi e metodi in evidente conflitto con quelli che riteniamo accettabili.

Qual è allora il senso di allentare i legami e di rintanarsi nei propri confini? Qualche beneficio temporaneo non può oscurare il rischio di rimanere piccoli vascelli in balia di un mare in tempesta, magari con nuovi avversari alle frontiere che ormai consideravamo cancellate. Abbiamo allora bisogno di leader e di personale dirigente ispirati e capaci. Le elezioni servono soprattutto a questo. Non a fare una selezione tra un eccellente gruppo di statisti (non abbiamo oggi la fortuna di coloro che vissero ai tempi dei padri fondatori dell’Europa), ma a scegliere coloro i quali, prosaicamente, possono considerarsi più adatti al compito.

E il compito che sembra doveroso auspicare è quello di mettere in primo piano quanto l’Unione Europea sia un progetto di successo ormai indispensabile e da proseguire, accordandosi ai tempi e alle sensibilità mutate. Non si tratta di fare propria qualche istanza dei sovranisti (soprattutto se usciranno, come sembra, ridimensionati dal voto rispetto alle aspettative della vigilia), piuttosto di fare i conti con necessità reali e ideali. Il Parlamento della nuova legislatura e la Commissione cui esso darà luce verde siano capaci di rilanciare i valori sociali, per esempio, con un ben calibrato Civil Compact, che dia il senso di attenzioni e regolazioni a favore dei cittadini e non di una camicia di forza a scapito della crescita. E la Ue ritrovi l’orgoglio di essere "guida" globale, con politiche ambientali forti e intelligenti, che nessuno degli altri Grandi del pianeta cerca davvero di perseguire. Si accompagni l’entusiasmo dei giovani che ogni venerdì manifestano nelle piazze d’Europa sull’esempio di una ragazza svedese, senza però imporre penalizzazioni che sono i più svantaggiati a pagare, come è successo in Francia con le misure anti-diesel e le conseguenti proteste dei gilet gialli.

Il test chiave sarà poi, inutile nasconderselo, un nuovo, necessario approccio, veramente condiviso e improntato all’umanesimo dei diritti e della dignità di ogni persona, verso il fenomeno delle migrazioni. Su questo fronte, davanti a una sfida che avrà lunga durata, si dovrà misurare la capacità della Ue di trovare soluzioni di vera accoglienza e di promozione dello sviluppo nei Paesi di partenza, senza alimentare isterismi né sottovalutare o sottacere le difficoltà. L’Europa non può essere una fortezza, ma può diventare più forte. Con il nostro voto, il nostro impegno e la nostra vigilanza.

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