Quanta economia sociale di mercato c’è, oggi, in Italia e in Europa? La domanda non suoni peregrina mentre il governo Monti mette mano alla liberalizzazioni e alla riforma del lavoro, mentre l’Europa è scossa dagli attacchi alla moneta unica, mentre in ogni angolo del Vecchio Continente le parole d’ordine sono rigore e crescita. La domanda non è peregrina perché l’economia sociale di mercato è stata evocata formalmente, per la prima volta in un testo cardine della Ue, nel Trattato di Lisbona (firmato il 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009) ove figura come uno degli «obiettivi» da realizzare. Sono trascorsi solo due anni, eppure sembra un’eternità. Ma la discussione sul futuro assetto economico dell’Unione, pur fra mille incertezze, arretramenti e pavidità, resta di drammatica attualità.Una circostanza, questa, che ha spinto i vescovi europei raccolti nella Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) a ri-centrare l’attenzione dell’Europa sul concetto di «economia sociale di mercato altamente competitiva» in vista di una «Comunità europea di solidarietà e di responsabilità». Il testo, approvato a fine 2011 e presentato a Bruxelles nei giorni scorsi, ha il merito di riproporre la prospettiva dell’economia sociale di mercato. Intuizione della Scuola di Friburgo, durante gli anni del regime nazista, essa trovò una consacrazione nell’immediato dopoguerra a opera di Ludwig Erhart, ministro dell’Economia a fianco del cancelliere Konrad Adenauer, non a caso uno dei padri dell’Europa. Erano convinti che spettasse allo Stato indicare l’ordine costituzionale entro il quale l’economia dovesse espandersi, oltre il mito del mercato, le pretese dello statalismo e le illusioni della pianificazione. E frenando, al tempo stesso, le spinte negative dei monopoli e delle corporazioni. Questo sistema ha fatto la fortuna della Germania del "miracolo economico" e ha posto le basi – anche morali – per la riunificazione tedesca. Senza cadere nelle trappole del mercatismo irresponsabile di cui stiamo pagando gli eccessi.Ma torniamo alla rilettura della situazione attuale attraverso l’occhio dei vescovi europei. Quattro i cardini indicati: la valorizzazione dell’agire gratuitamente, la forza della competizione libera nel mercato regolato, la necessità della politica sociale, l’irreversibilità dello sviluppo sostenibile. Alle spalle di questi quattro cardini ci sono due pilastri insostituibili: la fiducia nella persona come soggetto libero e responsabile in un mercato altrettanto libero e responsabile, la certezza che le istituzioni democratiche possano e debbano garantire la regolazione necessaria.Oggi l’Italia si trova a giocare una delle sue partite più difficili con la Storia. Ma proprio le drammatiche circostanze in cui è nato il «Governo di buona volontà», come lo ha definito il cardinale Angelo Bagnasco, spingono a sperare che il cambiamento sia possibile. Ancora una volta, però, tocca ai singoli, alle famiglie, ai corpi intermedi, alla società civile in tutte le sue articolazioni, chiedersi cosa è possibile fare perché il processo di costruzione di un’economia sociale di mercato possa trovare sempre più spazio anche in Italia. Di sicuro, l’esperienza tedesca che è storicamente il frutto più maturo di quel modello, non è trasferibile di peso nel contesto italiano. Ci sono, però, alcune specificità italiane che possono essere indirizzate a rafforzarne la concreta applicazione. Ne citiamo solo alcune.Innanzitutto, la forza del nostro volontariato e il grande slancio di gratuità che porta in dote. E poi, ancora, la tenuta sostanziale della famiglia, pur fra mille difficoltà, non solo come ammortizzatore sociale, quanto come luogo educativo. La concretezza e l’estensione delle reti sociali e di comunità. Il desiderio dei giovani, pur mortificati in questi anni, di dare una svolta alla propria vita. La necessità manifestata da giovani e adulti di sottoscrivere un patto intergenerazionale per garantire il futuro di tutti e di ciascuno. La domanda che viene dal Sud di un patto territoriale con il Nord, il solo in grado di invertire il trend che ha visto accentuarsi la distanza fra queste due aree del Paese.Ma se questo è il contesto sociale, c’è tutta una responsabilità in capo alla politica per rendere possibile un’economia sociale di mercato, nella quale lo Stato rivendichi per sé il ruolo regolativo e lasci lo spazio a tutti i propri cittadini per una più efficace e produttiva partecipazione economica. Se la cogestione è il sogno realizzato dei cittadini e lavoratori tedeschi, noi italiani possiamo costruire una forte partecipazione e corresponsabilizzazione, a cominciare dal rifiuto del conflitto per il conflitto. In quest’ottica anche i sacrifici sarebbero visti, dagli italiani, sotto una luce diversa.