Si potrebbe liquidare l’episodio dicendo che il massacro perpetrato ieri nella missione di Kiremba, in Burundi, è stato un tentativo di rapina mal riuscito. Ma rimane il fatto che la Chiesa di missione, vivendo in situazioni estreme di miseria e instabilità politica, ogni giorno fa i conti con una criminalità e un’insicurezza che rende fatti del genere pane quotidiano, anche se il più delle volte non ne abbiamo notizia. E spesso la criminalità si confonde con la guerriglia anti-governativa.Quanto è accaduto a Kiremba richiama i due genocidi del 1972-1973 e 1994-1995 in Ruanda e Burundi, con centinaia di migliaia di morti (in Ruanda vennero uccisi 4 vescovi su 9 e 92 preti su 140), senza che l’Occidente e l’Onu, dopo il fallimento in Somalia, intervenissero. La riconciliazione c’è stata, ma ancora oggi l’ordine pubblico non è assicurato. Eloquente il dispaccio diramato lo scorso 28 ottobre dal Ministero degli Esteri italiano: «Si sconsigliano viaggi a qualsiasi titolo in Burundi. Si continuano a registrare episodi, anche gravi, di attacchi ad opera di ignoti ai danni della popolazione locale nella regione di Bujumbura e nella zona a Nord Ovest della capitale al confine con la Repubblica Democratica del Congo (Rukoko), con voci circa la formazione di nuove bande ribelli. A un anno dalle elezioni, boicottate dai principali partiti d’opposizione, la situazione politica resta molto fluida. Si segnala inoltre che, per motivi di sicurezza, le rappresentanze diplomatico-consolari del Burundi presenti in Italia subordinano l’emissione del visto di ingresso alla presentazione di una lettera di invito».Perché la Chiesa italiana continua a essere presente in situazioni così pericolose? Quando venne assassinato in Turchia don Andrea Santoro,
fidei donum della diocesi di Roma, l’editorialista di un grande quotidiano italiano scriveva: «Ma perché questo bravo prete va a vivere in un Paese dove non vogliono i preti cattolici? Perché non se ne sta nella sua città, dove avrebbe tanto lavoro per la sua opera spirituale e umanitaria?». Il sangue versato a Kiremba ricorda a tutti la realtà profonda della «missione alle genti», che le Chiese cristiane continuano a promuovere per testimoniare a tutti gli uomini il Vangelo di Gesù, l’unico autentico rivoluzionario della storia che cambia dall’interno il cuore dell’uomo e porta la pace nella giustizia e nella verità. Nel novembre 1995, quando sono stato l’ultima volta in Burundi, avevano appena ucciso due missionari saveriani, i padri Ottorino Maule e Aldo Marchiol, insieme alla volontaria Caterina Gubert, a Buyengero, 110 chilometri a sud della capitale Bujumbura. Nella sala da pranzo dei missionari a Bujumbura, un cartello richiamava il motto del santo fondatore, monsignor Guido Maria Conforti: «I tempi sono tristi, ma non si è chiuso il tempo dei prodigi. I prodigi più belli sono quelli che opera la Grazia nel regno dei cuori».Nel silenzio assordante dei media, si consumano quotidianamente doni di sé generosi sino al sacrificio che, spesso, non hanno nemmeno l’onore delle cronache, ma fanno parte di una normalità in cui la Chiesa è sempre in prima fila. Soltanto una grande fede e l’amore autentico al destino del popolo in mezzo al quale vanno a vivere può sostenere l’esistenza dei missionari, delle suore e di tanti volontari laici italiani in Paesi dove il pericolo di un massacro è all’ordine del giorno. Ci sono seimila missionari italiani in Africa e circa settemila negli altri continenti che, con la loro opera silenziosa e la loro testimonianza, ci mandano un messaggio radicale e scomodo: anche nel nostro Paese, se vogliamo uscire dalla crisi esistenziale nella quale ci autodistruggiamo, dobbiamo ritornare a Cristo.