L’istituto di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri) ha pubblicato i dati in merito ai recenti trend del commercio internazionale di armi convenzionali. Ciò che emerge è un’evoluzione del mercato degli armamenti da un lato facilmente prevedibile alla luce dei conflitti in corso, ma anche per diversi aspetti sorprendente e pertanto più preoccupante. In termini generali il commercio di armi ha confermato il trend in aumento: nel quinquennio 2011-2015 gli scambi internazionali di armi convenzionali sono aumentati del 14% rispetto al periodo precedente 2006-2010. In buona sostanza il mondo continua ad armarsi. Il dato che alla luce dei conflitti armati in corso può essere considerato prevedibile è il significativo aumento delle importazioni da parte dei Paesi medio-orientali. I Paesi della regione, infatti, hanno aumentato le importazioni di armamenti del 61% nel quinquennio 2011-2015 rispetto al priodo precedente. In particolare, si distinguono Arabia Saudita e Qatar, che in questo periodo hanno aumentato le proprie importazioni del 275% e del 279% rispettivamente. Significativi aumenti sono stati registrati anche per Iraq, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Altro dato più interessante, poiché parzialmente inaspettato, è quello riferibile al continente asiatico e all’Oceania. In questa regione le importazioni di armamenti sono aumentate del 26% nel quinquennio 2011-2015 contando per una quota pari al 46% delle importazioni globali nel periodo. In particolare, India e Cina sono stati i maggiori acquirenti di armamenti nell’ultimo quinquennio. Le importazioni indiane sono state tre volte più ampie del proprio rivale storico, il Pakistan. Inoltre, a differenza del passato, l’India ha visto aumentare le forniture dagli Stati Uniti pur essendo la Russia il tradizionale partner in campo militare. Merita inoltre una menzione il fatto che anche il Giappone ha aumentato le proprie importazioni del 56% nel 2014 rispetto al 2013 e del 13% rispetto al 2012. Se si guarda al lato dell’offerta, gli Stati Uniti rimangono il principale esportatore a livello mondiale con una quota del mercato mondiale pari al 33% seguito dalla Russia con una quota del 25%. La Cina, che negli ultimi anni, ha sviluppato una propria industria militare è attualmente terza tra gli esportatori con una quota del 5,9%, seguita da Francia (5,6%) e Germania (4,7%). Tra questi Paesi la Cina è quello che ha aumentato di più le proprie esportazioni nel quinquennio 20112015 rispetto al 2006-2010 con un aumento dell’88%. L’industria militare cinese, quindi, completa con il sorpasso la rincorsa iniziata alcuni anni fa a Regno Unito, Germania, Francia e Germania nella classifica dei principali Paesi esportatori. L'Italia si mantiene tra i primi Paesi al mondo per vendite di armi. In particolare, nel quinquennio 2011-2015 le esportazioni nazionali sono aumentate del 48% rispetto al quinquennio 2006-2010. I principali clienti italiani tra il 2011 e il 2015 sono stati, nell’ordine: Emirati Arabi Uniti, India, Turchia, Algeria, Stati Uniti, Pakistan, Singapore e Israele. L’analisi di questi dati si presta a diverse considerazioni e pone non poche preoccupazioni. In primo luogo, è necessario evidenziare una forte discontinuità a livello globale. Con la massiccia importazione di armamenti degli ultimi anni, l’Arabia Saudita si attesta stabilmente tra i primi cinque Paesi al mondo per spese militari. Questo dato conferma che non vi è più corrispondenza tra i membri del consiglio di sicurezza dell’Onu e i principali Paesi per spese militari. Questo rafforza un’idea che negli ultimi anni ha trovato un numero crescente di sostenitori, quella secondo cui la
governance e gli spazi di cooperazione globali devono necessariamente trovare forme nuove rispetto alle istituzioni create alla fine della Seconda Guerra Mondiale. I nuovi scenari che si sono aperti negli ultimi mesi hanno infatti messo in evidenza l’inadeguatezza delle istituzioni globali esistenti.Nel ridisegnare le istituzioni globali un’attenzione particolare dovrebbe essere posta sulle relazioni commerciali in campo militare. Esse, infatti, sono uno dei canali per mezzo dei quali si concretano i nuovi assetti internazionali, ma non possono essere considerate alla stregua di ordinarie relazioni economiche. I rischi per la sicurezza globale che da queste derivano sono spesso incalcolabili. I conflitti in corso in Medio Oriente nella loro tragica complessità stanno già presentando drammatiche ripercussioni sulla vita di milioni di persone. Rischi di nuovi drammatici scenari sono, purtroppo, presenti. Il riarmo verificatosi nei Paesi asiatici in questo senso è un chiaro esempio. L’aumentata disponibilità di armamenti, pur in assenza di nuovi conflitti aperti, non può non destare preoccupazioni in merito alla potenziale recrudescenza di rivalità non sopite tra alcuni Paesi della regione. La comunità internazionale a questo punto deve interrogarsi in merito all’opportunità di intervenire senza ulteriori indugi in maniera più stringente in un mercato che appare al momento foriero di insicurezza più che di sicurezza a livello globale.Nel mese di aprile 2013 l’Assemblea Generale dell’Onu aveva approvato il trattato internazionale sul commercio delle armi convenzionali con l’obiettivo dichiarato di porre limiti stringenti. Purtroppo il trattato non è ancora stato in grado di declinare i propri effetti in virtù della mancata firma di alcuni attori principali (Russia, Cina) e della mancata ratifica da parte degli Usa. È necessario, pertanto, ritrovare le modalità con le quali riattivare a livello intergovernativo il dialogo in merito alla cooperazione che possa condurre a un nuovo processo di disarmo a livello mondiale. In questa fase i Paesi dell’Unione europea sono per primi chiamati a un gesto di responsabilità. Come già evidenziato sulle pagine di questo giornale, una discussione democratica in merito alla proprietà pubblica delle imprese europee esportatrici di armamenti non è rinviabile. Un gesto di responsabilità in questo senso potrebbe, peraltro, rappresentare un tassello fondamentale per la costruzione di una nuova Unione europea che confermi il fine per cui è stata costituita: la costruzione e il mantenimento della pace.