«L’Italia dopo 60 anni non va ai Mondiali. Una tragedia». Comincia così, con un’iperbole sottolineata dalla voce del narratore, lo spot della Chicco che invita a fare più figli e sta suscitando un vero putiferio, l’ennesimo cozzo frontale tipico dell’Italia di questi anni tanto minuscoli, per la portata delle idee, quanto fragorosi, per la veemenza con cui qualsiasi evento riesce a dividere il popolo in uno, due, tre, tanti schieramenti decisi a darsele di santa ragione. Senza che troppi cattolici si tirino indietro, ahinoi.
Se avete cominciato a leggere sperando che pure noi ci schieriamo, così da elogiarci o darci addosso con veemenza, sarete delusi. Non abbiamo un parere? Certo che lo abbiamo, ma prima di esprimerlo ci piace capire l’oggetto del contendere, cosa che pochi amano fare. Occorre un poco di abilità critica, insomma. Vedere (osservare, analizzare, comprendere), prima di giudicare e agire. Prima incontestabile verità: stiamo parlando di uno spot. Il terreno della pubblicità è la fantasia, la finzione, il sogno. Accusare uno spot di non essere realistico è come rimproverare a un chiodo di non essere commestibile. Moltissime critiche allo spot risultano così fuori bersaglio.
Ovvio che star fuori dal Mondiale non è «una tragedia», le tragedie sono ben altre. Ma il tono della voce narrante è iperbolica, esagerata. L’avete sentita? Si scherza, signori. Dopo i Mondiali c’è sempre un baby boom, afferma lo spot con la voce alterata che suona da avvertimento: stiamo esagerando apposta, deh! Ma c’è chi si affretta a dimostrare il contrario citando l’Istat. «Abbiamo bisogno di bambini, migliaia, milioni, trilioni di bambini che ci aiuteranno a crescere portando l’Italia dove è giusto che sia». Trilioni: possibile non capire che si scherza? E che senso ha allora demolire una barzelletta sottolineandone le incongruenze? La barzelletta serve a far ridere, non è letteratura neorealista. Semmai vanno colti gli elementi che si fissano nella memoria, alcune parole-chiave dal suono dolce: Italia e bambini. «Facciamolo per l’Italia, per amore, per il piacere di farlo» (le coppie si avvitano tra di loro in luoghi improbabili): qui si ricorre a stilemi appartenenti alla cultura del Ventennio e del Sessantotto, mescolati, con effetto umoristico. «Moltiplichiamoci all’infinito», e qui l’invito a far figli prende in giro gli ultrà dell’ipernatalità.
A modo suo, lo spot Chicco è molto intelligente. Forse troppo. Perché nel pubblico non tutti possiedono l’abilità critica per riconoscere il genere letterario e decidere, poi, se è riuscito o meno, bello o brutto, piacevole o sgradevole. La vera cosa francamente ridicola, e triste, è che anche stavolta tanti, forse troppi, saltano a piè pari il 'vedere' per applicare immediatamente un filtro ideologico prediletto e 'giudicare', ossia decidere se lo spot porta acqua al mulino proprio o altrui e a quel punto esaltarlo o demolirlo ('agire').
D’altronde è così che siamo sempre più indotti a fare: da che parte sta? Coincide con le mie idee o no? Fa il mio tornaconto o no? Lo spot Chicco non convincerà nessuno a fare un figlio. Il suo scopo è un altro: far circolare il brand Chicco e vendere più ciucci e carrozzine. Certo, per venderli servono bambini. Migliaia, milioni, trilioni. L’errore possibile della Chicco e dei creativi che le han dato retta? L’autoironia è oggi così poco percepibile, riconoscibile e apprezzata da determinare più cortocircuiti che grappoli di luce. Il successo fatale? Comunque il brand circola e si impone. E detto questo, per adeguarci al clima di opposte tifoserie: forza Croazia!