«Se i diritti fondamentali dell’uomo sono un bene comune di tutta l’umanità sulla via della conquista della pace, è necessario che tutti gli uomini, diventando sempre più consapevoli di questa realtà, tengano presente che, in questo campo, parlare dei diritti è anche enunciare i doveri». Era il 1973 e Paolo VI ricordava con un messaggio puntuale il venticinquesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sancita nel 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite dopo il disastro della seconda guerra mondiale.
E in quello stesso anno, rivolgendosi al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, chiariva che i termini di questo dialogo non potevano che essere – oltre ai problemi riguardanti la situazione della Chiesa nei diversi Stati, e gli scopi propri della sua missione e del suo servizio – i problemi più importanti e i maggiori interessi dell’umanità. E tali sono – affermava papa Montini – i diritti dell’uomo, la coscienza dell’ordine e del progresso internazionale, la giustizia e soprattutto la pace. A settant’anni di distanza da quel 1948 di ridefinizione mondiale post-bellica proprio all’interno della cornice dei diritti umani, papa Francesco, come Paolo VI, vuole adesso far riflettere con lo sguardo sugli scenari geografici delle odierne crisi in Medio Oriente, in Asia, in America Latina, in Africa, in Ucraina, a Gerusalemme, e con un approccio ale situazioni non retorico, ma realistico. Compresi la questione migratoria, il disarmo, lo sviluppo, la famiglia, la cura della terra.
All’inizio del suo discorso Francesco ricordando il centenario della fine della Prima Guerra mondiale ha citato due moniti che ne derivano. Il primo: «La pace non si costruisce come affermazione del potere del vincitore sul vinto. Non è la legge del timore che dissuade da future aggressioni, bensì la forza della ragionevolezza mite che sprona al dialogo e alla reciproca comprensione». Il secondo: «La pace si consolida quando le nazioni possono confrontarsi in un clima di parità». Per questo, spiega, è importante ricordare che le comunità politiche «sono uguali per dignità di natura», perché se non si riconosce la dignità di ogni persona umana, si apre la strada alla diffusione dell’ingiustizia, dell’ineguaglianza sociale e della corruzione e si arriva alla barbarie. La riflessione di Francesco è che «a settant’anni dalla proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, duole rilevare come molti diritti fondamentali siano ancor oggi violati.
Primo fra tutti quello alla vita, alla libertà e alla inviolabilità di ogni persona umana. Non sono solo la guerra o la violenza che li ledono». Se questo del Papa è un discorso nel solco della tradizione diplomatica della Santa Sede, per la quale «parlare di diritti umani significa anzitutto riproporre la centralità della dignità della persona, in quanto voluta e creata da Dio a sua immagine e somiglianza», è proprio su questa base che egli lascia qui intendere anche la confusione causata dall’introduzione di 'nuovi diritti' facendo notare che «nel corso degli anni, l’interpretazione di alcuni di questi è andata progressivamente modificandosi», includendo «una molteplicità di 'nuovi diritti', non di rado in contrapposizione tra loro».
Questo ha portato all’affermazione di «nozioni controverse dei diritti umani che contrastano con la cultura di molti Paesi, i quali non si sentono perciò rispettati nelle proprie tradizioni socioculturali, ma piuttosto trascurati di fronte alle necessità reali che devono affrontare». C’è quindi «il rischio - per certi versi paradossale - che, in nome degli stessi diritti umani, si vengano a instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli».
Francesco non lo specifica, ma è noto da suoi precedenti interventi che si riferisce alle campagne per la contraccezione, l’aborto e la promozione della cosiddetta teoria del gender, che vengono imposte ai Paesi del Terzo Mondo in cambio di aiuti economici. Se da una parte i nuovi diritti hanno pertanto favorito una «colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli», dall’altra hanno fornito pretesti per non rispettare proprio gli stessi «diritti fondamentali» enunciati nella Dichiarazione del 1948. È questo è lo scandalo che bisogna decidersi a 'vedere' e far finire.