Le ultime alluvioni hanno colpito regioni come le Marche e l’Emilia Romagna considerate da sempre territori ben amministrati, con servizi che funzionano, dove si vive bene. Giudizi confermati anche da recenti inchieste e ricerche, come quella sul BenVivere nelle città e province italiane.
Ma le drammatiche immagini di questi giorni ci dicono che non basta e che ormai il “ben vivere” deve prendere in esame anche la terribile variabile, tutta umana, dei mutamenti climatici che scaricano le loro conseguenze ovunque, soprattutto laddove ci si è illusi di non essere a rischio. Non è la natura che si deve adattare all’uomo, ma l’uomo che si deve adattare alla natura. Una natura non più naturale, proprio per responsabilità umane. Perché tali sono i mutamenti climatici.
«Oltre un secolo di uso di fonti fossili, di energia non sostenibile e di suolo hanno alzato la temperatura di 1,1 gradi sui livelli pre-industriali; i disastri meteo estremi sono più frequenti e intensi in tutto il mondo», hanno denunciato appena due mesi fa gli esperti dell’Ipcc, organismo dell’Onu. E l’Italia non fa eccezione. Lo scorso anno gli eventi climatici estremi sono aumentati del 55% rispetto al 2021, arrivando a 310, quasi uno al giorno, con 29 morti. Ce lo ha ricordato Legambiente.
E quest’anno va ancora peggio, come ha denunciato Coldiretti: dall’inizio di maggio si sono abbattute sull’Italia ben 89 tempeste, che hanno causato gravissimi danni. Eppure nei mesi scorsi il tema centrale era stata la siccità. Il primo quadrimestre che aveva fatto segnare il 15% di precipitazioni in meno, con punte di oltre il 40% al Nord. Una contraddizione? No, effetto della stessa causa. La concentrazione media nell’atmosfera dei gas climalteranti è ai livelli più alti da oltre 2 milioni di anni per l’anidride carbonica e da oltre 800mila anni per il metano. Con le conseguenze che stiamo pagando, siccità e alluvioni. Le distruzioni e i morti hanno cause molto precise.
I mutamenti climatici, certo, ma soprattutto i ritardi nell’adattarsi, come singoli, come istituzioni, come sistema Paese, a questi fenomeni sempre più frequenti. E non basta prevederli, non basta un efficiente sistema di protezione civile, per restare indenni da eventi nei quali si mischiano cause globali e cause locali. In particolare il peggioramento nella gestione del territorio e soprattutto il non adattamento ai cambiamenti climatici. In Emilia Romagna sono piovuti 200 millimetri di acqua in 24 ore, e in alcune zone ancora di più, ma dove è caduta l’acqua? Su un terreno capace di assorbirla o su terreni impermeabilizzati?
Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispra il consumo di suolo è tornato a crescere al ritmo di 19 ettari al giorno, 2 metri quadrati al secondo, il valore più alto negli ultimi dieci anni. Ma la fondamentale legge sulla conservazione del suolo bloccata in Parlamento nella passata legislatura, è scomparsa nell’attuale. E perfino questa non basterebbe. Perché ormai non sono sufficienti azioni per mitigare i mutamenti climatici (la decarbonizzazione), che comunque richiedono tempi lunghi, ma sono ancor più urgenti azioni di adattamento. Eppure il Piano nazionale di adattamento ai mutamenti climatici, predisposto dal Ministero dell’Ambiente nel 2018, è rimasto al palo e solo a febbraio l’attuale ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha dato il via alla consultazione pubblica. Tempo previsto 45 giorni. Che fine ha fatto? E dire che sarebbe fondamentale per mettere mano alle aree a rischio, con precisi interventi urbanistici, fino alle inedificabilità e delocalizzazioni.
Perché mettere in sicurezza non può voler dire alzare e cementificare gli argini, trasformando i fiumi in innaturali tubi. Bisogna invece ridare spazio ai fiumi, soprattutto ora che anche tranquilli corsi d’acqua si possono trasformare in poche ore in tumultuose valanghe d’acqua. Non bisogna più illudere i cittadini ma responsabilizzarli. Serve finalmente una cultura del rischio, che è fatta anche di rinunce. Invece si rinvia. Sperando che non tocchi a noi. Mentre la politica allontana quasi sempre decisioni a lungo termine non popolari, quelle non portano consenso e voti subito. Tranne poi piangere le solite, inaccettabili, lacrime di coccodrillo.