martedì 17 maggio 2016
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Le ragioni dell’iniziativa: abolire la legge non si potrebbe Caro direttore, come ha detto Cesare Mirabelli su “Avvenire” del 12 maggio, «tutti i percorsi referendari hanno molte insidie». Ne siamo consapevoli, e sappiamo che il referendum è l’ultima arma disponibile, lo strumento estremo a cui ricorrere dopo che gli altri sono esauriti. La verità, infatti, è questa: gli altri strumenti hanno fallito. Prima l’opposizione ragionevole e dialogante, le proposte di collaborazione, le argomentazioni giuridiche; poi l’opposizione parlamentare dura, la protesta, le piazze stracolme, non hanno dato alcun esito. Fin dall’inizio tutte le forze politiche presenti in Parlamento si sono dichiarate pronte a una legge per i diritti dei conviventi, etero e omosessuali, e tutte hanno presentato proposte in tal senso. Ma la scelta è stata un’altra, e si è partiti da una legge di taglio radicale, che oggi scopriamo essere stata preparata da Scalfarotto e De Giorgi già anni fa. Ora, dopo due voti di fiducia, tutto è più chiaro: il Pd non ha nemmeno tentato di fare una legge condivisa, e l’insistenza con cui si è affermato che si trattava di una legge di iniziativa parlamentare e non del governo era solo una finzione scenica, durata lo spazio di un mattino. Non ripeteremo qui la storia di tutte le violazioni procedurali e della Costituzione con cui la legge CirinnàLumia (che oggi, dopo la fiducia, sarebbe più corretto chiamare legge Renzi-Alfano-Verdini) è passata. Basta ricordare che né nell’aula del Senato né in quella della Camera, i parlamentari hanno potuto votare un solo emendamento. La legge è stata imposta al Paese (a cui si raccontano patetiche bugie) e al Parlamento. L’ha affermato Renzi stesso al congresso dei giovani del Pd: se non metto la fiducia, ha dichiarato testualmente, «col cavolo che passano le unioni civili». Quindi il nostro presidente del Consiglio è ben conscio che si tratta di un’imposizione, e che il testo non sarebbe stato votato senza consistenti modifiche dalle Camere. Che fare, allora? Accettare il matrimonio omosessuale sotto falso nome, recependo l’idea che qualunque aggregazione umana, costruita nel nome dell’affettività, sia famiglia? Accettare che siano definitivamente stravolte la genitorialità e la filiazione? Accettare che la stepchild adoption sia delegata, attraverso il comma 20, ai tribunali, come già possiamo constatare? Quel comma, che ai cittadini può apparire oscuro, è invece chiarissimo per i magistrati, tanto che già dopo l’approvazione della legge al Senato le sentenze che consentono l’adozione alla coppie gay si sono moltiplicate, e in poco più di un mese ne sono state prodotte ben cinque. Noi abbiamo deciso di inserire un piede nella porta prima che fosse definitivamente chiusa, e di mettere in campo l’ipotesi referendaria, uscendo dal palazzo, facendo in modo che a decidere siano i cittadini italiani. Il quesito non chiede l’abrogazione dell’intera legge: questo non sarebbe nemmeno possibile, dopo le sentenze della Consulta, che indicano al Parlamento una linea precisa sul riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali. È fondamentale, in questo senso, fare un’operazione di verità. Con l’eventuale referendum tutti i diritti individuali dei conviventi rimarrebbero, da quelli patrimoniali a quelli che riguardano la casa, la salute, il patrimonio, e così via. Non tutti sanno che la cosiddetta legge Cirinnà è divisa in due parti: la prima riguarda solo gli omosessuali, a cui è riservato il nuovo istituto delle unioni civili, uguale in tutto e per tutto al matrimonio, escluso l’obbligo di fedeltà; la seconda riguarda i conviventi, di qualunque orientamento sessuale, e riconosce i diritti individuali a cui abbiamo fatto riferimento. Le coppie gay potranno dunque godere di ampie tutele. Quando, nei sondaggi, la maggioranza degli italiani si esprime a favore del diritto a vivere un amore omosessuale, in grandissima parte intende attribuire proprio queste tutele, non duplicare il matrimonio. Non è detto che, alla fine, si debba ricorrere al referendum: la situazione politica è fluida, e sarà l’appuntamento con il referendum istituzionale a segnare in questo senso la svolta decisiva. Ma neanche è possibile rinunciare a priori all’ipotesi referendaria, e predisporsi alla rassegnazione. Il Comitato è nato, ha riunito le forze politiche disponibili, ed è aperto, anzi spalancato, alla società civile e all’apporto di tutti. Noi ci prepariamo, consapevoli del rischio, ma disposti a correrlo se sarà necessario.  *Presidente del Comitato per il referendum sulla legge per le unioni civili Seguo e apprezzo da anni il suo impegno di parlamentare e di donna di cultura, cara presidente Roccella. E sono certo che lo spirito con cui considera la possibilità di una nuova battaglia referendaria è del tutto costruttivo. Ma le insidie sono davvero tante e pesanti. Mi auguro perciò che non si arrivi a quella prova. Continuo infatti a credere che, dopo lo stralcio della stepchild adoption dalla normativa sulle unioni civili, il passaggio davvero decisivo e rivelatore sarà quello della riforma della legge sulle adozioni (non mi dilungo, perché ne tratto, qui accanto, nella riposta a due lettere). Mi permetto solo un’annotazione: una parte del Pd, assieme ad altre forze dentro e fuori la maggioranza, ha «tentato di fare una legge condivisa» lungo la “via italiana” suggerita dalla Corte costituzionale (e da eminenti personalità). Ci ha provato, eccome. E questa, a mio parere, non è un’attenuante di fronte alla decisione del premier-segretario di partito Renzi di assecondare la lobby che ha lavorato per “blindare” le ambiguità di un testo migliorato rispetto alla prima versione, firmata Cirinnà e scritta da Scalfarotto, eppure in più punti ancora e deliberatamente «sbagliato». (mt) 
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