Caro direttore,
nel dibattito che ha accompagnato il referendum costituzionale del 4 dicembre, chi era schierato consapevolmente per il Sì aggiungeva (quasi) sempre un ma: ma se la riforma passa il discorso non è finito, ma ci saranno tanti passaggi successivi... Ed era vero, a iniziare dalla necessità di adeguare i regolamenti parlamentari e di una serie di leggi attuative delle nuove norme costituzionali. Anche chi era schierato per il No aggiungeva (quasi) sempre un ma: ma votare contro non significava non volere il cambiamento, ma una riforma era comunque necessaria e andava fatta... Dopo il risultato del referendum, il problema – a mio parere – è diventato proprio la gestione di questo ma, sentito in entrambi gli schieramenti. Oltre alle ripercussioni politiche alle quali stiamo assistendo, resta infatti aperto il tema specifico posto dal referendum: l’adeguamento della seconda parte della Costituzione. Il 4 dicembre 2016 ha fatto tramontare definitivamente l’idea che una semplice maggioranza parlamentare possa modificarne interi blocchi. Il 60% di no appena manifestato, è identico – come 'Avvenire' ha notato – al 61% di no espresso dieci anni fa, nel 2006, all’analogo referendum che bocciò il tentativo della maggioranza di centro destra di allora di cambiare con un colpo solo 52 articoli della Costituzione.
Quando si tocca la 'legge delle leggi', gli italiani chiedono di capire e di essere posti nella condizione di decidere in modo consapevole su punti circoscritti, come già è avvenuto più volte nel passato. Un’avvertenza anche per il mondo cattolico se vuole avanzare idee e proposte che risultino percorribili. Nel maggio 1990 Leopoldo Elia, divenuto senatore dopo essere stato presidente della Corte Costituzionale, grande giurista formatosi alla scuola di Giuseppe Dossetti e Costantino Mortati, presentò una riforma costituzionale di assoluta semplicità e intelligenza: cambiando un solo articolo, il 70, Elia introduceva un bicameralismo procedurale per il quale, nella maggior parte dei casi, un disegno di legge approvato da una Camera è trasmesso all’altra e si intende approvato definitivamente se entro un breve arco temporale almeno un terzo dei componenti della seconda Camera non ne richieda a sua volta l’approvazione. Ciò che colpisce della rilettura di quella proposta è la sua assoluta chiarezza espositiva, la sua ragionevolezza e quanto essa, accompagnata da opportuni cambiamenti dei regolamenti parlamentari, avrebbe facilitato e consolidato nel tempo un bicameralismo non solo procedurale, ma differenziato nello specializzare il Senato, in particolare, a rivestire quella funzione prevista dall’articolo cinque della Costituzione: «La Repubblica (…) adegua i princìpi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».
Nel dicembre 2009, Camera e Senato, al termine di un acceso dibattito, con due mozioni approvate in contemporanea proposero una riduzione dei deputati da 630 a 512 e dei senatori da 315 a 250. Credo che gli italiani sarebbero pienamente d’accordo se si ripartisse dalla proposta Elia e da queste due mozioni, che potrebbero onorare, al tempo stesso, lo spirito e la sostanza della Costituzione.