Nessuno di buon senso può pensare che "chiudere" e "riaprire" un Paese sia semplice. E la giornata di ieri lo ha dimostrato in pieno, con governo e Regioni più volte sull’orlo della rottura e poi ritrovatisi in serata per la necessità di non lasciare nel caos cittadini e imprese in vista di un’ampia riconquista delle libertà personali ed economiche già da lunedì.
Ma una serie di fattori rischiano ancora di trasformare la Fase 2 dell’Italia in una combinazione non chiara, non rassicurante, tra necessità economiche, guerriglie istituzionali, incertezze sanitarie e ancora scarsa comprensibilità di cosa i cittadini e le imprese possano realmente fare o non fare per contenere il contagio e, al contempo, ridurre gli impatti sociali ed economici. Il primo fattore è politico. Il tentativo del governo di tenere una "linea dritta" nel passaggio dalla fase 1 alla fase 2 è stata costantemente minata da fughe in avanti dentro la maggioranza e tra le Regioni e da un clima di competizione con le opposizioni, cui si aggiunge il non invidiabile "primato" di aver attraversato la crisi pandemica sotto l’ombra di una minacciata crisi di governo. Non hanno aiutato le parti sociali, con gli industriali e i sindacati che hanno spesso dato la sensazione di vivere su universi paralleli e di non avere un minimo di obiettivi comuni. Non hanno aiutato, a dire il vero, nemmeno certi "tecnici", che per alcune settimane hanno come imbrigliato la legittima discussione politica. Allo stesso tempo, l’esercizio di mediazione dell’esecutivo, del premier Conte e dei ministri più in vista si è a volte perso nei dettagli, nei formalismi (un solo esempio: il caso dei "congiunti") e nelle ricadute comunicative delle decisioni, sottraendo energie al compito prioritario di dettare scenari più chiari e lineari nel breve e nel medio termine. Ieri queste fragilità politiche sono emerse per poi essere coperte con un colpo di reni generale, del premier e dei governatori.
Il secondo fattore è istituzionale. Si è riaperto il derby tra "centralisti" e "autonomisti", ma la verità è che questa crisi non ha dato risposte nette, anzi ha dato risposte diversificate a seconda di territori e amministrazioni. In alcune aree il governo ha coperto e continua a coprire buchi delle Regioni. In altre le amministrazioni locali sono state più pronte e determinate di Roma. E il fronte dei governatori, rispetto all’opzione di una maggiore autonomia decisionale proporzionata a maggiori responsabilità, si è rivelato più incerto e meno "decisionista" di quanto voglia far trasparire. Ma ormai anche il livello politico regionale sembra diventato più funzionale al consenso che alla buona amministrazione e alla leale collaborazione istituzionale.
Motivo per cui i dibattiti teorici su un nuovo intervento costituzionale per rimettere in ordine responsabilità di governo centrale e locale appaiono purtroppo destinati a cadere nel vuoto. Ma, ciò che più conta, questo stato di cose continua a comportare dei rischi per lo sviluppo della Fase 2. Ieri si è cercato a lungo una mediazione tra i protocolli nazionali Inail per la sicurezza sui luoghi di lavoro e le 'reinterpretazioni' delle Regioni: in pratica le imprese, i ristoranti, i bar, i parrucchieri, i commercianti solo oggi, o addirittura domani, riceveranno le regole dettagliate per alzare le serrande lunedì. In più, già il primo test sulla trasmissione dei dati sanitari dalle Regioni al Ministero della Salute ha registrato rallentamenti e ritardi. Il rischio che permane è di avere, di fatto, un governo della Repubblica, che è e resta una, continuamente strattonato da mille pressioni e venti 'staterelli'.
Poi ci sono dei fatti concreti, in ordine al controllo dell’epidemia, che non sono stati risolti. Si è detto che i pilastri per ripartire erano quattro: mascherine, test, app di tracciamento e indagine costante sull’attuale situazione epidemiologica. I ritardi sono oggettivi su tutti e quattro i fronti. L’approvvigionamento di mascherine è in affanno e preda del solito balletto di responsabilità. Sui test sierologici si va in ordine sparso e l’unica certezza è che chi ne ha le possibilità ricorrerà in proprio ai laboratori privati. L’app di tracciamento non la vedremo prima di giugno. Anche solo una stima di quanti siano stati i contagiati reali e quanti siano gli asintomatici in giro nel Paese è a oggi assente. Tutto ciò minaccia di trasformare la Fase 2 in una auto-assunzione di responsabilità di cittadini, imprese e lavoratori.
La conseguenza è che comunque arriveremo a lunedì con più dubbi che certezze. Cosa si possa fare senza mettere a repentaglio la propria e l’altrui salute resta un punto interrogativo per tanti. E questo rappresenta un freno anche per un 'rilancio' economico, che non può arrivare senza una ripresa di fiducia del sistema Paese. Analoghi dubbi, incertezze e preoccupazioni sono di tutti gli Stati più colpiti da Covid-19. E nessuno può dire con assoluta certezza che un altro governo avrebbe fatto meglio o peggio. Tuttavia la posta in gioco, per la salute ed economia, è molto alta. E da lunedì conteranno solo i risultati concreti.