Risulta di origine animale la trasmissione all’uomo del recente coronavirus, che, nel suo rapidissimo replicarsi, sta attaccando anche letalmente - ben più di una 'influenza stagionale' - la popolazione mondiale. Ma la pandemia è responsabilità umana. Non solo perché il nemico invisibile è veicolato dall’uomo.
È l’attuale civiltà tecnologica ad aver reso possibile e diffusamente praticato uno scambio, un commercio di merci, animali e uomini, persino di uomini- merce, la cui rapidità e intensità ne impedisce il controllo, se non la cura, fatta di attenzione e comprensione, lenta e singolare. È il mondo globalizzato, ridotto a uso e consumo omologato, a impedire autentiche relazioni fra gli uomini, ad allontanare l’uomo dalla natura, che sia suolo natìo o terra promessa, avvicinabili solo lentamente, passo a passo, con confidenza amorevole e quotidiana. È lo sfruttamento intensivo del suolo, con deforestazioni, zootecnia industriale, tecniche agricole e urbanistiche che sradicano per sempre la autoriproducibilità naturale della vita, a desertificare, inquinare, squilibrare ogni ambiente terrestre, stipando innumerevoli esseri umani in immonde megalopoli, prive di umanità e realtà.
Quando gli uomini sopravvivono esclusivamente 'supportati' da apparati tecnologici, una tecnologia che domina incontrastata e incontenibile, osannata benché altamente infettiva e parassitaria, quando il singolo uomo, la famiglia, la comunità non sono in grado di sostentarsi attraverso agricoltura e artigianato, producendo autonomamente le risorse di cui vivere, fruendo della natura in maniera mite, nella consapevolezza del limite umano, permettendone la ciclica riproducibilità, quando nemmeno gli Stati Uniti d’America sono in grado, su suolo americano, di produrre integralmente in ogni sua componente un computer, quando un bambino di Pechino o di Milano non scrive con la matita di legno, a mano, ma pone le sue delicate dita su schermi 'favolosi', impara attraverso lavagne 'multimediali', la neocorteccia cerebrale regredisce, non si sviluppa più, il coordinamento motorio langue e la vita umana viene meno.
Sarà sufficiente fermare tutto, se non due settimane almeno due mesi, addirittura due anni, per ripartire da capo? E il virus chi se lo ricorderà più! Sarà sufficiente che i vertici politici, economici, finanziari della Terra ascoltino gli scienziati (supponendo una loro unica categorizzazione), convertano industrie e società alle nuovissime tecnologie, alle più sofisticate energie rinnovabili e se non alla fusione nucleare, a una fissione più 'pulita', per la pace e il bene dell’umanità?
Meditiamo su questi interrogativi durante la Quaresima a cui tutti ormai siamo costretti. Meditiamo soprattutto sul limite umano. Il limite ci costituisce. Non solo alla nascita e alla morte, ma durante tutta la vita ogni aspetto dell’esistenza è segnato e reso significativo da limiti. La natura, gli altri, la sofferenza, il dolore, la libertà sono abissali limiti per l’uomo: li esperisce, ma senza comprendere da ultimo i loro perché. Solo nella consapevolezza dei propri limiti l’uomo potrà attendere un soccorso da parte di Dio, trascendente ogni presunzione, ideologia o idolatria umana. Solo comprendendo la propria limitata finitezza, l’uomo potrà riconciliarsi con la natura, con gli altri esseri umani, con ogni realtà visibile o ignota.
La coscienza dei limiti condurrà su cammini volti a un nuovo equilibrio fra attività degli uomini e natura, fra persone e persone, facendo capire che la tecnologicizzazione della vita non è un progresso felice e infinito, ma anche che non potrà essere, non soltanto almeno, una mera decisione umana, dall’oggi al domani, persino se presa di comune accordo da tutti i centri di potere mondiali, magari di fronte al baratro della pandemia, quella che cambierà le sorti del pianeta, in rapido deterioramento antropico. La stessa decrescita verrebbe animata e quindi inficiata dal medesimo spirito volitivo, prometeico, soggettivistico che ne ha determinato l’urgenza come controcanto alla devastazione dell’ambiente, tecnologica e urbana. Piuttosto occorre porsi in preghiera, in ascolto anche nelle minime cose, nei più invisibili esseri naturali, di ciò che eccede ogni nostro limite mortale e quindi meglio lo rende visibile, orizzontante i nostri cammini.
Nell’ascolto, nella misura, nel passo lento e nell’agile mano, nell’intelligenza non prevaricatrice, nell’amorevole cura per ogni realtà e persona, troveremo le risorse intangibili per pensare a un éthos diverso dall’attuale, per rigenerare la vita e l’umanità.