Dopo quasi novant’anni dalla stipulazione dei Patti Lateranensi nel 1929, e oltre trenta dalla revisione del Concordato nel 1984, noi diamo per scontati tanti frutti che l’amicizia tra Stato e Chiesa ha portato all’Italia, in un’ottica nazionale ed europea. Anche perciò è utile ricordare alcuni ostacoli storici che si sono dovuti superare. Due in particolare meritano attenzione.
Da parte italiana, nell’Ottocento, era forte il timore che potesse rinascere lo Stato Pontificio, e che il Vaticano potesse in qualche modo offuscare il Quirinale, la sede più alta del nuovo Stato unitario. Fa un certo effetto leggere oggi le parole che Francesco Crispi pronunciò nel 1864, affermando che «la Chiesa Romana è cattolica, cioè universale. Questa condizione, che è una forza per lei, è un danno per noi. Il Pontefice romano, qual è oggi costituito, non può divenire cittadino di un grande Stato, discendendo dal trono su cui lo venera tutta la cattolicità. Bisogna che sia principe e signore a casa sua, a nessuno secondo. D’altra parte, il re d’Italia non può sedere accanto a un monarca a lui superiore». Pio XI e i suoi successori con lui nutrivano un timore eguale e contrario, che la Chiesa, senza una sovranità anche piccola, potesse rivivere condizioni di sudditanza conosciute in altre epoche, ad Avignone nel secolo quattordicesimo, con il dominio napoleonico nell’Ottocento. Lentamente le cose cambiarono, Francesco Crispi attenuò la propria ostilità, quasi si avvicinò politicamente al cattolicesimo nelle ultime fasi della sua esperienza; la Chiesa e il Papato videro crescere la propria universalità anno dopo anno, e la richiesta primaria rimase quella di uno spazio territoriale minimo, che garantisse la loro indipendenza e libertà dinanzi al mondo. Il primo conflitto mondiale, con il pontificato di Benedetto XV, i suoi appelli alla pace e l’azione di aiuto a favore di tutte le vittime della guerra, elevò la sede di Roma a livello internazionale come mai prima, e pose le basi psicologiche e politiche dei successivi Accordi del 1929.
I lunghi decenni che ci separano da allora testimoniano come l’amicizia tra Santa Sede e Italia si sia consolidata nel corso della nostra storia nazionale, in specie con l’approvazione della Costituzione, nelle grandi vicende del Novecento, mentre i timori dell’Ottocento svanivano. Il Vaticano, anziché offuscare, ha illuminato il Quirinale, la presenza cattolica ha rafforzato la democrazia italiana, l’ha sostenuta nei momenti più aspri, ha favorito un pluralismo ideale che arricchisce l’Italia, la prepara alle sfide della globalizzazione, dell’incontro interculturale. Anche per le scelte strategiche dei Patti Lateranensi, l’attività della Santa Sede è cresciuta di continuo facendone uno strumento di pace e di dialogo universale, con il magistero sui diritti della persona di Pio XII, le iniziative di Giovanni XXIII per abbattere i muri tra Est e Ovest, l’apertura di Paolo VI all’Onu e la messa a fuoco del grande tema dello sviluppo nella giustizia.
È bene riflettere sullo speciale rapporto tra Italia e Santa Sede: il nostro Paese non ha dismesso mai una politica di dialogo con chiunque, che ha favorito la caduta delle barriere del comunismo, del colonialismo, dello sfruttamento economico dei Paesi più deboli, trovando spesso nella diplomazia pontificia quale un alleato naturale per il raggiungimento di buoni risultati.
Oggi, siamo di fronte a una crisi inedita, epocale secondo le parole di papa Francesco, che ha un doppio volto: quello antropologico, di una società che con lo sviluppo dei diritti umani a volte tradisce proprio i diritti dei più deboli, spesso nel nucleo più importante e fragile della famiglia e del rapporto tra generazioni; quello politico, della paura verso il nuovo, con le difficoltà (e le vertigini) della globalizzazione e i problemi delle trasmigrazioni dei popoli. Il magistero dei Papi ha richiamato l’esigenza di un’antropologia che guardi al bene della persona, non al soddisfacimento di desideri più o meno effimeri.
Da parte sua l’Italia, pur tra tante difficoltà, anche forte dell’amicizia con la Santa Sede, sa compiere con saggezza ed equilibrio scelte politiche e umanitarie di valore strategico. Siamo forse l’unico Paese europeo che non s’è chiuso in sé stesso, ha saputo accogliere profughi e immigrati, suscitando ammirazione in altre nazioni, che non sempre fanno tutto ciò che possono sullo stesso tema.
E l’abbiamo fatto, forti di una rete di solidarietà che si nutre della realtà cattolica, di altre presenze religiose, di un tessuto civile di volontariato ramificato sul territorio. Questa apertura agli altri ci permette d’agire oltre il nostro peso specifico nel consesso dei grandi Paesi del mondo globalizzato, di ricevere riconoscimenti e apprezzamenti a volte inattesi. La nostra identità e presenza internazionale trovano un sostegno ideale nel magistero di papa Francesco che, sfidando incomprensioni ma ottenendo consenso, da subito ha parlato il linguaggio profetico del dialogo, dell’accoglienza per chiunque soffra, qui e oggi, sul territorio nostro e su quello europeo. La profezia del Papa costituisce forse l’antidoto più forte contro la tentazione dei muri, le paure, la diffidenza per gli altri. In occasione della recente scomparsa di Zygmunt Baumann, sono stati evocati due capisaldi della sua analisi-denuncia della società del terzo millennio.
La nostra, diceva Baumann, è una società liquida, nella quale tutto scorre senza che si colga il valore delle scelte più importanti per la dignità della persona, nella quale ogni scelta è uguale all’altra, con un esito relativista che divora valori e cancella impegni, pure incarnati nella coscienza umana. È una società in cui può prevalere la paura, che provoca diffidenza e relativismo, anziché accoglienza e dialogo. Profezia e ragione si coniugano così, e sono capaci di affrontare temi che segnano il nostro futuro: le basi istituzionali del rapporto tra Stato e Chiese, Stato e religioni, sono sempre più necessarie per radicare nel mondo il valore della libertà religiosa, sviluppare un dialogo interreligioso che sappia abbattere vecchie e nuove muraglie che possono dividere le coscienze.