C’è un uomo a Qaim, nella provincia irachena di al Anbar. C’è ancora
l’Uomo a Qaim, in mezzo alle fiamme della guerra di Iraq e Siria, nell’inferno dei territori contesi tra i terroristi del Daesh e la fragile autorità statale irachena. Di lui sappiamo veramente poco: il nome, Dham Aljughaifi, e che – probabilmente – era un musulmano sunnita come la maggioranza della popolazione di quella zona. Ma la sua fede religiosa, in fondo, non è il dato essenziale. Essenziale è ciò che ha fatto e che emerge dalle pieghe della cronaca di un raid aereo, l’ennesimo, su quella provincia.Le forze di Baghdad, infatti, hanno colpito una cellula del Daesh attiva nella zona, uccidendo almeno 20 terroristi fedeli al Califfato, accusati tra l’altro di aver rapito e violentato sei giovani yazide. Secondo la ricostruzione delle autorità irachene, una delle ragazze – 13 anni appena – nei giorni scorsi era riuscita a fuggire rifugiandosi nell’abitazione di un residente locale, Dham Aljughaifi appunto. Devono essere bastate poche parole, a quella ragazza, per far comprendere a Dham e alla sua famiglia da quale orrore stesse scappando, quali tormenti avesse dovuto subire nel "matrimonio" forzato con un combattente saudita. E devono essere bastati ancor meno ragionamenti, a Dham e ai suoi, per scegliere da che parte stare, per accogliere la giovane yazida e cercare di nasconderla, di sottrarla alla degradante schiavitù cui era sottoposta.Quando poi il nascondiglio è stato scoperto, quando il tentativo di difenderla si è rivelato fragile, Aljughaifi ha cercato almeno di riscattare la ragazza, proprio come si fa con una schiava, offrendo di barattarla con il suo camion. Non sappiamo esattamente quale mestiere facesse Dham, ma immaginiamo che abbia offerto ai terroristi quanto di più prezioso possedeva in quel lembo martoriato di Iraq. Per salvare la ragazza, Aljughaifi non ha esitato prima a nasconderla e poi, quando il "marito" è tornato a reclamarne la proprietà, a offrirgli in cambio lo strumento del suo lavoro, il mezzo con il quale provvedeva a mantenere la sua stessa famiglia. Non è bastato, non poteva bastare a chi ha in spregio non solo la vita degli "infedeli", come gli yazidi, minoranza considerata "eretica" da molti islamici, ma anche quella di chiunque non si pieghi al feroce potere del cosiddetto Califfato.L’epilogo apparente di questa storia è una successione di violenze, di sangue e di tenebre, nere come il drappo che i jihadisti del Daesh hanno scelto quale bandiera.Dham Aljughaifi ucciso davanti alla sua abitazione, di fronte alla moglie e ai figli, la sua casa svuotata e requisita. La ragazza catturata nuovamente con la forza dai membri dell’organizzazione estremista e riportata a fare da schiava sessuale a un combattente jihadista. Infine, la reazione delle forze irachene che bombardano uccidendo i terroristi (ma non sappiamo anche quanti civili innocenti, né quale sia stato il destino delle giovani donne yazide rapite).Violenza che chiama violenza, orrore che provoca altro orrore, senza che nulla, all’apparenza, riesca a spezzare la spirale di morte.Eppure, è proprio in mezzo a quel buio che brilla più chiaramente una luce di speranza. È in quel deserto arido di sentimenti che l’amore sembra riuscire comunque a germogliare. Come quelle erbe ostinate, capaci di sbucare pure fra le lastre di cemento e lì in mezzo farsi spazio, così il coraggio e i gesti di Dham Aljughaifi testimoniano che non tutto è perduto. Quell’eroismo eccezionalmente semplice, spontaneo, naturale dice che c’è ancora un uomo a Qaim. C’è ancora
l’Uomo a Qaim, provincia di al Anbar, in mezzo all’inferno jihadista. E che per quanto terroristi, dittatori, guerrafondai e nichilisti d’ogni risma e latitudine continuino ad applicarcisi con terribile tenacia, annientare l’umano resta impresa impossibile. Fintanto che un padre riconoscerà
la figlia in una ragazza che chiede aiuto. Fintanto che anche noi sapremo vedere
il fratello in un uomo che ci sta di fronte, di qualunque fede, di qualsiasi etnia sia. Umani, anzitutto fratelli.