La notizia che Alfredo Cospito ha interrotto lo sciopero della fame, a seguito della sentenza della Corte costituzionale che due giorni fa ha dichiarato incostituzionale l’impossibilità di concedere attenuanti prevalenti sulla recidiva, è una bella notizia per tanti motivi. In primo luogo, perché viene salvata la vita di una persona che, con uno sciopero della fame che durava da mesi, aveva messo a serio repentaglio la propria sopravvivenza.
In secondo luogo, perché il buon senso ha prevalso sul senso comune cattivo, sul sentimento del “buttiamo via la chiave”, sull’idea che un uomo che impegna il proprio corpo per una forma di protesta estrema è, semplicemente, un ricattatore contro il quale la ragion di Stato deve prevalere a ogni costo.
In terzo luogo, perché la decisione della Consulta, che ha accolto l’eccezione di illegittimità costituzionale saggiamente sollevata (su istanza della difesa) dalla Corte di assise di appello di Torino è un messaggio di fiducia a tutti cittadini. Un messaggio che dice come una ventata di aria pura che la giustizia è “bendata” perché imparziale e incorruttibile; non perché, nella sua folle astrattezza, è cieca di fronte al dolore dell’uomo.
Dobbiamo tutti essere grati a quei giudici di Torino che, senza deflettere dal loro compito di applicare la legge anche severamente contro un uomo ritenuto autore di reati gravi, hanno però reintrodotto il principio di proporzionalità della pena. Hanno scritto parole che trovano ispirazione in una delle norme più chiare e belle della nostra Costituzione: l’articolo 27, secondo cui «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Un articolo che distilla la tradizione umanitaria di tante diverse culture che alla Costituente si incontrarono e si fusero; un articolo che, non a caso, fu scritto da un’Assemblea in cui erano presenti tanti uomini che, nei venti anni precedenti, avevano conosciuto carcere e confino e che dunque sapevano di cosa stavano parlando quando discutevano di prigioni.
Ancora una volta – come anche recentemente ha auspicato la prima Presidente della Corte di Cassazione – ci sono stati giudici che hanno dimostrato di aver introiettato, nel loro pensare ed agire, lo spirito della Costituzione. Infine, l’esito fausto di questa tormentata vicenda va salutato con gioia da chi, da tanti fronti (tra cui ci sia permesso di ricordare questo giornale), per mesi ha ingaggiato e combattuto una battaglia che abbiamo ritenuto essere di civiltà. E questo ci conferma un insegnamento che abbiamo imparato dai nostri maestri: che è giusto ribellarsi senza violenza ma con forza all’ingiustizia. Che, quando si ritiene d’essere dalla parte della ragione, l’obiezione di coscienza e la lotta sono sempre doverose e spesso (anche se non sempre) alla fine possono essere vincenti e convincenti.
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