Un rimedio al doping dalle molte facce
sabato 31 dicembre 2016

L’anno si chiude con uno scandalo sportivo di proporzioni epocali: si scopre che in più Olimpiadi gli atleti russi erano dopati in massa. Con la consapevolezza dello Stato, ministri, burocrati, medici. Qualche dirigente, scappato all’estero, sta rivelando adesso le gare truccate, gli atleti dopati, le tecniche per ingannare i controlli, tutto. Noi qui non facciamo (perché non ne abbiamo la competenza) un discorso “sportivo”, lo sport ha i suoi cultori e i suoi maestri, che ne stanno parlando con altezza d’ingegno anche su queste colonne. Noi qui ci poniamo alcune domande irresistibili: perché il doping è così esteso? così immortale? Perché stavolta è un doping non di qualche atleta ma “di Stato”?

L’atleta che bara ha la coscienza sporca? E se vince barando, come può succedere che esulti? Se un atleta è pulito e perde, come si fa a risarcirlo? Gli si manda la medaglia? E come, per posta? Ma è la stessa cosa? C’è doping anche tra i libri e i film, tra i premi letterari e cinematografici? Ad esempio, tra gli Oscar? E in Formula 1? No, perché qui si tratta di motori? E i motori non possono essere truccati? Sono una forma di doping anche le superpensioni e i vitalizi? E i superstipendi? Il doping, in senso stretto, è un potenziamento del corpo dell’atleta per mezzo di sostanze proibite. Proibite anzitutto per la protezione, la salute e la vita dell’atleta stesso. Ogni atleta si presenta in gara con cuore, nervi e sangue al massimo della preparazione. Questo massimo costa sforzi immani, allenamenti, diete, terapie, tecniche fisiche e psichiche, controllo delle medicine, del sonno, dello stress, sotto la guida di specialisti. Il corpo dell’atleta così preparato rende il massimo che può rendere. Il corpo dell’atleta dopato rende di più. Perché al rendimento frutto della preparazione aggiunge un super-rendimento frutto della chimica. Non importa se la chimica fa male o fa morire. Il principio è: la vittoria vale più della vita. Vinci oggi. Potrai morire, ma dopo. Morire dopo aver vinto è meglio che morire senza avere vinto. Spiegato così, il doping ci riguarda tutti.

È il mondo che è dopato. Non solo il mondo delle Olimpiadi, o del calcio, o del ciclismo, ma dei libri, dei film, delle competizioni elettorali, dei concorsi a cattedra, delle carriere dirigenziali e presidenziali... Tutti i concorrenti in tutte le competizioni pensano che, se vincono, vuol dire che meritano. Lo scrittore mediocre che vince un grande premio si sente più grande del grande scrittore che l’ha perduto. Il doping è figlio dell’etica del successo e l’etica del successo non è di un uomo o una squadra, è l’etica della nostra epoca. Se vinci ti senti grande anche moralmente. Se vinci da dopato, perché la tua squadra ti dopava, ti senti in linea con la morale della squadra, e questa per te è tutta la morale del mondo. Se vinci da dopato perché lo Stato ti dopava (e così veniamo al caso della Russia oggi), ti senti in linea con la morale dello Stato, e lo Stato è tutto, è il tuo creatore.

Perciò questi dopati che scopriamo oggi (una caterva, distribuiti in più Olimpiadi) hanno la coscienza tranquilla. Non mi stupirei se venissimo a sapere che, tra di loro, chiamano il dirigente che è scappato all’estero e ha rivelato tutto “il traditore”. Hanno avuto la medaglia d’oro, apparizioni tv, parate, soldi, trionfi... come può, tutto questo, passare a un atleta che s’è piazzato secondo? La più grande gioia del vincitore è l’estasi e il delirio del pubblico che scatta in piedi e applaude. Come fai, anni dopo, a dare questa gioia al secondo? Ahimé, chi perde, potrà avere la riabilitazione, ma è una cosa diversa dalla vittoria. Anche chi perde lo Strega o l’Oscar, perché un rivale ha un editore o un produttore in grado di truccare la votazione, potrà avere un risarcimento sui tempi lunghi (se il suo libro o il suo film è più bello, durerà di più), ma non avrà più il trionfo della premiazione. E qui c’è un buco nei regolamenti. Torniamo a bomba al doping delle Olimpiadi. Tutti lo ammettono, anche i colpevoli. Allora perché alle prossime Olimpiadi non s’introduce una breve cerimonia, per riassegnare le medaglie secondo giustizia, a chi le merita? Se lo sport ha una funzione educativa, questa cerimonia ne sarebbe il vertice.

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