Un altro aumento dei tassi di 25 punti base e l’annuncio che non è finita. La Banca Centrale Europea ha affrontato l’ondata inflattiva che ha colpito l’Eurozona con una serie di aumenti che hanno fatto progressivamente salire il costo del denaro per famiglie ed imprese. Per non considerare gli effetti su molti paesi poveri ad alto debito. Come negli anni ’80 l’aumento dei tassi per ridurre l’inflazione produce fuga dei capitali da questi paesi, svalutazione del cambio ed aumento del costo del debito portando molti vicini al default. È questa la necessaria medicina tradizionale in presenza del classico fenomeno di inflazione da domanda con gli effetti collaterali negativi indicati. In molti hanno però sottolineato che quest’inflazione ha caratteristiche diverse. La liquidità, prima del Covid e dell’esplosione dei prezzi del gas, è stata molto abbondante per un decennio nell’Eurozona ma, in presenza di prezzi delle fonti fossili molto bassi, non ha creato inflazione esponendoci al rischio opposto della deflazione, anche a causa di politiche severe di regolamentazione bancaria che frenano e hanno frenato la propensione delle banche a prestare a famiglie e imprese la grande quantità di denaro di cui disponevano.
Lo shock inflattivo arriva dunque dall’esplosione dei prezzi delle fonti fossili (così come durante gli anni ’70 del secolo scorso) e si propaga progressivamente ai prezzi di tutti i prodotti dato che il costo dell’energia ne è una componente fondamentale. Normale dunque che, anche dopo il calo dei prezzi del gas, l’inflazione stia scendendo solo gradualmente. I prodotti che troviamo oggi a scaffale hanno infatti subito nei mesi scorsi il costo elevato dell’energia e i prezzi elevati degli input intermedi come i fertilizzanti. Gli analisti iniziano però a parlare di una seconda determinante chiamata “heatflation”, ovvero inflazione sui prezzi dei prodotti agricoli determinata dal cambiamento climatico che, come è noto, genera periodi di siccità alternati ad eventi climatici estremi. Il nord del nostro paese li ha vissuti da poco entrambi con la lunga siccità di questa primavera e l’alluvione della Romagna.
Questi fenomeni hanno ridotto significativamente l’offerta di prodotti agricoli e quando l’offerta si contrae, a parità di domanda, i prezzi salgono segnalando la maggiore scarsità di prodotti. Secondo la Coldiretti in Italia nel 2022 la siccità ha ridotto del 45% il raccolto di mais e mangimi per animali e del 30% della produzione di riso e frumento mentre la produzione di latte in Francia è calata tra il 15 e il 20%. Un recente lavoro pubblicato nella serie dei quaderni di ricerca della stessa Bce calcola che l’impatto della siccità dell’estate del 2022 ha generato un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari dello 0.67% e stima che il mancato adattamento al cambiamento climatico produrrà un aumento di inflazione sui prodotti alimentari tra lo 0.9 e il 3.2% all’anno fino al 2035 con un impatto sull’indice complessivo dei prezzi al consumo tra lo 0.32 e l’1.18 percento. Il fenomeno della heatflation richiede ulteriori verifiche empiriche. La forza del mercato globale è in fondo proprio quella di sostituire carenze di offerta in una determinata area geografica con aumenti di offerta da altri paesi ma non sempre questo previene tensioni sul fronte dei prezzi. La storia dei prezzi delle materie prime agricole è segnata da sempre da shock climatici come gelate o siccità che hanno prodotto impennate dei prezzi. Non c’è bisogno di teorie particolarmente sofisticate per capire che, se il ritmo di questi eventi accelera, gli effetti sui prezzi saranno maggiori, distribuiti su molti prodotti e non temporanei.
Pertanto, nonostante il ritardo di discesa dell’inflazione core (comunque prevista su livelli normali tra due anni), è opportuno domandarsi se un intervento di vecchio tipo come quello dell’aumento dei tassi sia adeguato (e in che misura) per affrontare un nuovo tipo di inflazione non inquadrabile nel classico modello di inflazione da domanda tradizionale. Soprattutto tenendo conto dei costi della terapia tradizionale, ad esempio sulle famiglie che hanno mutui a tasso variabile, sulle stesse imprese agricole che, dopo il danno degli shock subiti subiscono la beffa di un aumento del costo del credito necessario a finanziare i loro investimenti. E ricordando che un’inflazione alimentata dai prezzi dei prodotti alimentari è profondamente regressiva pesando soprattutto sul carrello della spesa dei ceti più deboli la cui quota di spesa in beni alimentari è notoriamente più elevata. Gli effetti collaterali non si fermano qui perché abbiamo verificato in questi mesi che il sistema finanziario e bancario rischia di pagare nel brevissimo tempo situazioni di squilibrio tra valori di libro e valori di mercato che potrebbero tranquillamente riassorbirsi nel medio termine. Se è vero che la Bce ha preso sul serio il problema climatico con una serie di interventi legati alla misura del rischio climatico e alla preferenza per i titoli green è anche vero che sarebbe importante approfondire con questi nuovi elementi la riflessione sui costi e benefici di ulteriori interventi tradizionali di rialzo dei tassi in presenza di fenomeni inediti, soprattutto quando analisi che identificano tali fenomeni nascono proprio all’interno della sua collana di quaderni di ricerca.