Nell’omelia pronunciata ieri per l’Epifania, il Papa ha detto che i Magi erano «uomini di scienza, ma non soltanto nel senso che volevano sapere molte cose: volevano di più. Volevano capire che cosa conta nell’essere uomini». È una sottolineatura assai importante che richiama la differenza tra mera erudizione e vera cultura. La prima è solo un’accumulazione di nozioni senza gerarchia tra loro; la seconda, invece, desidera anzitutto rispondere alle domande esistenziali: «chi sono?», «qual è la mia origine?», «qual è il mio fine? », «esiste Dio?», «se c’è Dio perché c’è anche il male?»...
In effetti, il fine principale dell’attività conoscitiva umana dovrebbe essere il nostro continuo miglioramento morale. Dunque la ricerca conoscitiva dovrebbe principalmente (anche se non esclusivamente) e continuamente interrogarsi sulle grandi domande, dovrebbe cercare di migliorarci, di aiutarci a ben vivere e a ben morire. Ciò significa che dovremmo cercare una giusta proporzione tra ciò che (giustamente) sappiamo per via della nostra professione o per interesse e ciò che abbiamo bisogno di sapere in quanto uomini: posso sapere tutto sull’informatica, sull’economia, sulla geografia, ma tutte queste cose, pur pregevoli, non sono primarie, perché ciò che conta principalmente è saper rispondere – per quanto possibile – alle domande esistenziali.
Il tanto (ingiustamente) bistrattato Medioevo ha molto da insegnarci al riguardo, perché organizzava in modo gerarchico i vari saperi in rapporto alla loro capacità di insegnarci l’arte di vivere moralmente bene. Diceva che essi devono favorire, o perlomeno non ostacolare, la ricerca del bene, l’amore a Dio e al prossimo.
Se questa unificazione è caduta nel Rinascimento, durante l’Illuminismo (ovviamente con delle eccezioni al suo interno) è ritornata una nuova organizzazione del sapere, quella antigerarchica dell’enciclopedia, che dispone le conoscenze secondo il criterio alfabetico (cosicché amaca viene prima di Cristo...), dove al centro non c’è più l’uomo bensì l’accumulazione stessa del sapere e la moltiplicazione delle informazioni atrofizza la capacità di riflettere, come oggi spesso succede con internet. Inoltre, la vera cultura è quella che non rimane 'bagaglio culturale', bensì quella che metabolizziamo, facendone pensiero del nostro pensiero. Quella che incide sulla nostra vita, quella che ci orienta, come la stella che guidava i Magi, e che insieme ci è consustanziale.
Ancora, a differenza dell’uomo veramente colto, il mero erudito resta chiuso nella sua torre d’avorio, del suo sapere fa motivo di vanto snobistico e di disprezzo verso i semplici, che sanno molto di meno in generale, ma talvolta sanno molto di più di lui per quanto concerne il senso della vita. E qui veniamo a due altre caratteristiche dell’uomo veramente colto, anch’esse menzionate da Benedetto XVI: i Magi «erano anche uomini coraggiosi e insieme umili: possiamo immaginare che dovettero sopportare qualche derisione» e «Per essi non era decisivo ciò che pensava e diceva di loro questo o quello […]. Per loro contava la verità stessa, non l’opinione degli uomini». In effetti, al cercatore della verità sono necessarie diverse virtù, a cominciare appunto dall’umiltà e dal coraggio, che il Papa ha richiamato anzitutto in riferimento ai vescovi. La prima, perché chi è orgoglioso difficilmente riconosce di sbagliare e persevera nel difendere una tesi erronea per non dover ammettere di aver sbagliato. Il secondo, perché – soprattutto oggi nell’epoca del politically correct – andare controcorrente significa essere derisi, umiliati, disprezzati, osteggiati.