Nel giorno 94 della guerra in Ucraina si registra un’altra avanzata delle forze russe nel Donbass, con la presa di Lyman, a una sessantina di chilometri a ovest nella regione di Donetsk. Secondo l'intelligence britannica, questo risultato è "strategicamente importante" in quanto "la città è sede di un importante nodo ferroviario e dà accesso a importanti ponti sul fiume Siverskyy Donets".
Ma, come racconta sul “Kyiv Independent” uno dei reporter di guerra più noti, Illia Ponomarenko, “la più grande e mortifera battaglia in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale è, per molti versi, un duello all'ultimo sangue tra l'artiglieria russa e quella ucraina. Mosca ha un chiaro vantaggio numerico e si assicura gradualmente i suoi progressi eliminando le linee di Kiev che la ostacolano. Lo scontro decisivo dura da quasi 40 giorni. La Russia sta lentamente e dolorosamente superando le difese ucraine, riducendo in cenere i villaggi. Nonostante le pesanti perdite, l'esercito continua a combattere duramente, cercando di logorare le forze d’invasione. Sorprendentemente, date le circostanze, il morale dei resistenti rimane alto”.
Se le sorti del conflitto sono comunque ancora incerte – anche alla luce delle notizie che danno in arrivo per l’esercito di Kiev pezzi di artiglieria più efficaci e potenti, in attesa dei razzi a lunga gittata americani che Biden si sarebbe infine risoluto a concedere – movimenti importanti si segnalano anche sul piano diplomatico e religioso. La mediazione sul tema del grano, avviata dal premier italiano Draghi, sembra avere smosso qualcosa (anche se alcuni osservatori internazionali hanno letto in modo critico la sua mossa, ritenuta finalizzata soprattutto a garantire i flussi di gas). Nelle ultime ore è stata rilanciata l’idea di una scorta navale europea ai mezzi ucraini perché possano attraversare il Mar Nero e riprendere le esportazioni verso i tanti Paesi che aspettano i cereali già stoccati nei silos. Inoltre, una telefonata tra Macron, Scholz e Putin sembra avere aperto uno spiraglio anche sul fronte russo.
Il Cremlino starebbe considerando qualche concessione sulla questione dei prodotti agricoli bloccati dalla guerra. Sollecitato dal presidente francese e presidente di turno della Ue e dal cancelliere tedesco, il leader russo si sarebbe detto pronto a riprendere le trattative con Kiev. Dall’Europa è venuta la richiesta di liberare i prigionieri del reggimento Azov, in segno di buona volontà. La risposta di Putin si deve per ora considerare interlocutoria, dato che ha accompagnato al colloquio con i rappresentanti europei una dichiarazione in cui ribadisce che il fronte occidentale deve interrompere il sostegno militare a Zelensky.
Tuttavia, lo sviluppo forse più interessante e foriero di conseguenze potrebbe essere la decisione presa dalla Chiesa ortodossa ucraina ancora fedele a Mosca di staccarsi dal Patriarcato e rendersi autonoma davanti al sostegno esplicito di Kirill all’aggressione russa contro Kiev. Si tratta della seconda secessione ortodossa in Ucraina negli ultimi anni: parte della Chiesa ortodossa si era già staccata da Mosca nel 2018, diventando autocefala con un autentico scisma, anche a causa dell'annessione della Crimea e del sostegno ai separatisti nella regione del Donbass. Ora, almeno sulla carta, la quasi totalità del clero e dei fedeli cristiani in Ucraina sarà diviso dalla Chiesa ortodossa che fa capo a Kirill. Si tratta di 10-12mila parrocchie nelle zone orientali del Paese, frequentate da “filorussi” sempre più a disagio con la fedeltà a un vertice che non obietta a invasione e massacri di civili.
È certamente un evento rilevantissimo nel lungo periodo sul piano religioso, ma in questo momento ha una forte valenza politica. Significa che il controllo che il Cremlino vorrà avere sulle zone occupate diventerà particolarmente difficile. Il piano di russificazione, che passa dalla cancellazione dell’identità ucraina – linguistica, culturale e perfino monetaria – non potrà basarsi sull’elemento ecclesiale, per nulla secondario. Gli insegnanti fanno resistenza nelle scuole ai cambi di programmi, la gente nelle città non accetterà facilmente che non si insegni più l’inglese, come ha proposto il presidente del Parlamento della Crimea, Konstantinov, né che la televisione trasmetta soltanto propaganda di Mosca.
Ogni giorno che passa, malgrado l’avanzata sul terreno e le operazioni per consolidare l’occupazione compiute dai russi, gli ucraini sembrano sempre più compattarsi nella difesa della propria terra e della propria indipendenza. La guerra sta scavando un solco profondo che sarà difficile colmare anche quando una tregua delle armi sarà raggiunta.