venerdì 3 febbraio 2023
Commissione a Kiev: gesto di coraggio. Michel: destino comune, il futuro di Kiev è con noi. Ma la vera incognita è come finirà il conflitto. Quanto l'Europa è disposta a fare? Quale Paese accoglierà?
Guerra giorno 345: le promesse della Ue, non si dice il prezzo di mantenerle
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La guerra in Ucraina è arrivata al 345° giorno e ha visto lo svolgimento a Kiev del vertice Unione Europea-Ucraina. La presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, il presidente del Consiglio Charles Michel con 15 commissari, tra cui l’italiano Paolo Gentiloni, hanno discusso di aiuti, sostegno militare e processo di integrazione del Paese ospitante, già dichiarato candidato all’ingresso nell’Unione. Si è trattato della prima riunione dell’istituzione europea in una zona di guerra, un gesto di vicinanza e di coraggio (al suono dell’allarme aereo, per precauzione, gli ospiti sono dovuti scendere rapidamente in un rifugio). Ma pure una mossa politica che deve essere considerata in tutte le sue implicazioni di lungo periodo.

Michel, durante la conferenza stampa con il presidente Volodymyr Zelensky, ha affermato che “il futuro dell'Ucraina è all'interno della Ue, il nostro destino è comune”. Anche se non è stata menzionata alcuna tempistica, si è affermato che il processo sarà "basato sugli obiettivi", con una prima relazione generale sulla richiesta di adesione prevista già in primavera e un rapporto più dettagliato in autunno che la Commissione presenterà entro l’anno al Consiglio dei capi di Stato e di governo, chiamati poi a decidere all’unanimità.

L’Unione Europea ha ribadito che sosterrà l'Ucraina in ogni modo per tutto il tempo necessario e ha aggiunto che non si farà intimidire dal Cremlino. Sono già stati stanziati 18 miliardi di euro di aiuti finanziari per il 2023. E presto sarà varato un decimo pacchetto di sanzioni contro Mosca riguardante la tecnologia utilizzata dai russi per missili e droni.

Intanto il governo tedesco ha dato via libera alla consegna di 88 carri armati Leopard 1 (un modello più vecchio e meno efficiente dei Leopard 2 di cui si è discusso a lungo in queste settimane e che infine verranno concessi in misura più limitata, probabilmente 14 esemplari). La Ue nel suo complesso garantirà anche l’addestramento di 30.000 soldati ucraini e verserà 25 milioni di euro per lo sminamento delle zone già occupate dagli invasori.

Zelensky ha ringraziato e chiesto che i negoziati diretti per l’ingresso dell’Ucraina si aprano entro dicembre. In questo quadro, la dialettica che si è svolta alla luce del sole è sembrata quella classica dei processi di allargamento. Obiettivi che un candidato deve raggiungere, a partire, per Kiev, dallo Stato di diritto e dal problema della corruzione. In tal senso, i vertici ucraini si sono mossi in modo spettacolare negli ultimi giorni per mostrare la propria determinazione contro il malaffare, con arresti e destituzioni di viceministri ed ex ministri, governatori e procuratori, funzionari e oligarchi, compreso un ex mentore dello stesso Zelensky, il miliardario Igor Kolomoisky.

Ma è evidente che tale aspetto potrebbe essere discriminante per altri candidati come la Macedonia del Nord o per l’Albania, non per l’Ucraina sotto aggressione armata della Federazione Russa. Il vero, enorme nodo che è difficile nascondere riguarda, come è evidente, l’esito del conflitto in corso. Quale sarà il Paese che potrà entrare nell’Unione tra un anno o due? Sarà un Paese privato illegittimamente di alcune sue ampie parti, economicamente vitali e deciso a riprendersele prima o poi? Oppure un Paese “normalizzato” con un governo filorusso dopo una vittoria, almeno parziale, sul campo da parte di Mosca? O, ancora, un Paese attraversato dalla linea di un armistizio provvisorio che lasci i due eserciti a scrutarsi a distanza ravvicinata in uno scenario coreano ipotizzato da molti qualora nessuna delle due parti raggiunga un successo pieno?

Se l’esercito di Kiev non riesce a ricacciare le forze d’occupazione oltre i confini del 24 febbraio scorso, inevitabilmente uno degli scenari sopra indicati diventerebbe molto probabile. Qualche altro esito potrebbe certo sfuggire alle previsioni, ma è difficile pensare oggi a colloqui di pace che riportino il sereno nel continente, con un’Ucraina quasi integra territorialmente e un Putin soddisfatto di ritirarsi e vedersi togliere un po’ delle sanzioni decise nell’ultimo anno dall’Occidente.

Che cosa vorrà fare allora l’Unione Europea: accogliere al suo interno un Paese ancora vasto ma impoverito e di fatto belligerante o comunque tentato da una rivincita armata? Oppure una nazione tornata a prima della Rivoluzione di Maidan, magari attratta a Occidente dalla convenienza economica però con il cuore non più così lontano da Mosca? C’è un piano B che non sia un rinvio sine die, comprensibile politicamente ma eticamente riprovevole dopo i roboanti annunci spesi e le solenni promesse fatte? Tante domande, come si vede, ma che meritano di essere affrontate senza ipocrisia prima di fare ulteriori passi che potrebbero poi tramutarsi in un deludente e umiliante dietrofront.

Le risposte passano oggi, prima di tutto, dall’impegno militare che Bruxelles e i singoli Stati membri potranno continuare (iniziare) a profondere. Se si vuole che l’Ucraina non sia mutilata e rimanga continuamente sotto scacco di una Russia aggressiva affacciata sul nuovo confine orientale della Ue, si devono probabilmente mettere a disposizione più risorse belliche e superare le esitazioni e i temporeggiamenti che hanno caratterizzato il primo anno di guerra (nelle ultime ore Italia e Francia hanno confermato che invieranno a breve il sistema antimissile SAMP/T. E gli Stati Uniti hanno annunciato la fornitura di missili di precisione a lunga gittata tanto richiesti dai generali di Zelensky). Non ci saranno miracoli sul campo di battaglia. Kiev può resistere e contrattaccare se ottiene più armi e più potenti. Non è certo uno scenario augurabile. L’unica alternativa è trovare un compatto fronte diplomatico che riesca a convincere il Cremlino a trattare, tale risultato si potrebbe tuttavia raggiungere soltanto con la Cina unita all’Occidente, ipotesi difficile da concretizzare.

Nel momento in cui Henry Kissinger ha cambiato idea sull’ingresso di Kiev nella Nato – che prima escludeva (e per questo veniva lodato come realista moderato) e ora pensa sia maturo –, ma non spiega quale Ucraina e in quale scenario tale allargamento dell’Alleanza atlantica potrebbe avvenire, l’Unione Europea è chiamata a un doloroso sforzo di coerenza per riaffermare il proprio ruolo di bastione dei diritti e della democrazia. A fianco dell’Ucraina, senza illuderla e poi tradirla, ma anche senza accompagnarla nel baratro di un conflitto ancora più sanguinoso, distruttivo e senza esito positivo.

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