Si spara ancora, tragicamente, in Ucraina, dove la guerra è arrivata al 195° giorno. Ma il conflitto tra la Russia e i Paesi che sostengono Kiev si sta spostando completamente sul fronte dell’energia. La chiusura, non si sa quanto prolungata, del gasdotto Nord Stream 1 sta per mettere davvero alla prova la resistenza dell’Europa che dipende in quote diverse dagli approvvigionamenti di Mosca. In generale, tuttavia, è Putin che sta dando le carte di una rischiosa partita di poker, in cui a giocarsi molto sono tutti coloro che, volenti o nolenti, si trovano seduti a questo ideale tavolo verde.
I prezzi dell’energia salgono, la Federazione incassa, le nazioni Ue soffrono per le bollette quasi decuplicate nell’ultimo anno (al netto dei sostegni pubblici), leader politici e settori dell’opinione pubblica cominciano a essere insofferenti della situazione e chiedono la revoca delle sanzioni, allineandosi alle richieste del Cremlino per il ripristino delle forniture. Si tratta però di solo metà della crisi. L’altro versante comprende i mancanti introiti da parte russa se si arriverà a una rottura totale degli accordi sul gas e l’impossibilità per Mosca di reindirizzare in tempi brevi l’eccedenza di produzione verso Paesi amici disposti a comprare (anche se a prezzi più bassi della Ue).
Ecco la posta in palio di uno scontro che per ora nessuno sembra volere portare alle estreme conseguenze. Putin spinge sullo scontento nei Paesi in cui vede possibili crepe nel fronte della fermezza. Se ne è avuta un’ulteriore conferma con le dichiarazioni dell’ormai ben nota portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova: "Il ministro Roberto Cingolani ha presentato il suo piano per ridurre la dipendenza dell'economia italiana dagli idrocarburi russi. È chiaro che questo piano è imposto a Roma da Bruxelles (che, a sua volta, agisce su ordine di Washington), ma alla fine è il popolo italiano che dovrà soffrire".
Le minacce non paiono per ora sortire gli effetti desiderati. Unanime la condanna di una palese ingerenza negli affari interni del Paese, mirata anche a influenzare le dinamiche elettorali del prossimo 25 settembre. Nelle stesse ore, da Londra arrivava un’altra notizia sgradita per il presidente russo. Liz Truss, finora responsabile del Foreign Office e sostenitrice della linea dura contro Mosca, incluso il processo a Putin per crimini di guerra, è diventata primo ministro della Gran Bretagna. Una leader che non muterà le scelte assunte finora da Boris Johnson, tra i più attivi nel sostegno militare all’Ucraina con invii di armamenti e addestramento di truppe sull’isola.
La domanda che tutti si pongono è quanto può durare la partita in corso, a suon di bluff e rilanci che nessuno potrebbe davvero onorare se e quando si andrà a vedere le carte che ciascuno ha in mano. Un’interpretazione della strategia russa è che i vertici abbiano capito che la guerra non si vincerà sul campo finché il fronte occidentale continuerà ad appoggiare attivamente Kiev nella resistenza e, ora, nella controffensiva a Sud, che sembra cominciare a dare qualche risultato concreto nell’area di Kherson. Il tentativo è allora quello di usare l’arma dell’energia per rompere la compattezza di Europa e Stati Uniti, puntando anche sui prossimi appuntamenti elettorali in Italia e in America, il prossimo 8 novembre.
In questo arco temporale, che porterà ai primi freddi autunnali, vedremo come si svilupperà lo scontro, considerando che all’inizio di dicembre dovrebbe scattare il blocco dell’acquisto del petrolio russo per 24 Stati Ue e nel frattempo è attesa la messa in atto del tetto al prezzo sia del gas da parte dell’Europa (per il quale si è speso ancora il presidente francese Macron) sia del petrolio da parte del G7 e di chi vorrà aderire. Se Putin perdesse la sfida sull’energia, cioè non ottenesse un cedimento dei rivali e si ritrovasse senza i più che cospicui introiti provenienti dall’Occidente, quale altra arma metterebbe in campo? E l’Europa, provvisoriamente in carenza di gas, riuscirà a non cedere alla tentazione di scendere a patti con Mosca per evitare un possibile tracollo economico e fortissimi disagi sociali?
Sono gli interrogativi più evidenti e pressanti cui tentare di dare risposta. Da parte degli analisti, per capire come evolverà la crisi. Da parte dei decisori, per trovare vie d’uscita dalla guerra e dai disastri che l’accompagnano.