La guerra in Ucraina è giunta al giorno 143: l’Armata continua a lanciare missili sulle città, mentre i combattimenti nel Donbass sono diminuiti di intensità. "Kiev ha avuto successo nel respingere gli attacchi russi dopo che Lysychansk è caduta e la linea di difesa è stata accorciata e raddrizzata", secondo quanto riferisce l'intelligence militare britannica, che diffonde un bollettino quotidiano sull’andamento del conflitto. Le operazioni militari di Mosca rimangono ridotte, con i combattimenti focalizzati su Siversk e Bakhmut.
Si tratta con ogni probabilità di un momento in cui entrambi gli eserciti cercano di consolidare le posizioni e rigenerare le unità operative, in vista di una ripresa dello scontro su più vasta scala. Ovviamente, i piani e le operazioni conseguenti sono molto diversi su due versanti del conflitto. I russi devono rimpiazzare i tanti caduti nell’avanzata a Est e cercare di mettere in sicurezza gli armamenti e i depositi, ora diventati bersaglio dei nuovi lanciatori a lunga gittata di Kiev. Il Cremlino, soprattutto, è chiamato a elaborare una strategia per i prossimi mesi. Fino dove vuole tentare di spingersi nelle regioni orientali? Come può rendere permanenti le conquiste territoriali finora ottenute? È pronto ad aprire altri fronti, magari puntando ancora sulla capitale Kiev?
Da parte ucraina, si tenta di schierare un numero sempre maggiore delle nuove batterie missilistiche ad alta precisione in arrivo dall’Occidente: Himars e M270. Queste armi permettono di infliggere pesanti danni a tutta la catena logistica del nemico e potrebbero dare modo, se disponibili in quantità sufficiente – si parla di 60 unità -, di ribaltare l’inerzia della guerra. Mosca infatti non avrebbe contromisure adatte e gli arsenali russi sono sotto pressione, anche perché la produzione – a causa dell’embargo tecnologico – non riesce a tenere il passo dell’utilizzo massiccio di cannoni e munizioni.
In questa fase sembra che l’Armata d’invasione punti a tenere vivo il terrore nella popolazione con attacchi singoli a obiettivi nei centri abitati, che non cambiano le sorti della guerra ma possono logorare la resistenza psicologica della gente. E hanno anche lo scopo di infiacchire la volontà delle opinioni pubbliche internazionali, che cominciano a essere stanche di sostenere il peso di un conflitto orribile e sanguinoso, oltre che oneroso per le loro economie e le loro tasche. Ecco allora che pure le vicende politiche dei singoli Paesi si fanno largo nello scenario della crisi continentale.
Il Cremlino è ben consapevole che se la Nato sostiene con continuità lo sforzo bellico ucraino la vittoria per Putin può arrivare soltanto a un prezzo altissimo e in tempi molto lunghi. D’altra parte, se l’Occidente abbandona Kiev o riduce il suo sforzo attivo di aiuti militari ed economici, allora il conflitto può risolversi molto più brevemente a favore dell’aggressore. Le battute macabre dell’ex presidente Medvedev e dei vari portavoce in merito alle difficoltà interne di alcune leader europei riflettono proprio il tentativo di avvantaggiarsi delle fisiologiche alternanze tipiche dei Paesi democratici.
Si è cominciato con la mancata maggioranza assoluta in Parlamento per il partito di Emmanuel Macron a Parigi, per proseguire a Londra con le dimissioni a “lunga scadenza” di Boris Johnson, uno dei principali alleati di Volodymyr Zelensky e più accesi avversari di Vladimir Putin, per arrivare alle attuali fibrillazioni nel governo Draghi, che lo potrebbero portare a dimissioni irrevocabili mercoledì 20 luglio. Mosca ha una lunga tradizione di interferenze nei processi decisionali ed elettorali di altre nazioni attraverso strumenti di propaganda non direttamente riconducibili ai suoi apparati statali. Nei casi citati, non è certo la Russia che ha messo sulla graticola i leader di tre delle principali nazione europee, ma la Russia può certamente trarne vantaggio qualora guadagnassero spazio forze politiche meno favorevoli a dare supporto alla resistenza ucraina.
"La tradizionale lotta politica interna nei Paesi occidentali non deve intaccare l'unità nelle questioni fondamentali della lotta tra il bene e il male. In particolare, sulla fornitura di armi all'Ucraina", ha scritto non a caso Mikhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino. "Non possiamo permettere al Cremlino di usare la concorrenza politica come arma per minare le democrazie", ha sottolineato su Twitter.
Ecco allora il peso che assumono sullo scacchiere globale anche quelle che in altri tempi si potevano considerare piccole schermaglie locali fra partiti alla ricerca di qualche consenso in più. Il pressing estero che senza nemmeno il velo di cautele diplomatiche viene esercitato in queste ore sul premier italiano perché non lasci il suo posto a Palazzo Chigi deve essere letto in questa chiave. Un altro effetto della tragica guerra nel cuore dell’Europa.