Un punto terribile e cruciale che per tutti noi è bene aver chiaro Poche ore fa abbiamo potuto vedere un servizio eccezionale dall’Ucraina: reporter occidentali che s’aggirano per una piazza, proprio nel momento in cui sul più grande palazzo della zona piove un missile dal cielo, e la popolazione inveisce contro i nostri giornalisti, accusandoli di esser loro a fornire ai russi le coordinate per colpire gli obiettivi più remunerativi.
Non è vero, naturalmente, i giornalisti non fanno gli osservatori per conto di qualunque esercito e a maggior ragione di un esercito aggressore come quello russo. E se indicassero al nemico qualche obiettivo che val la pena colpire, non indicherebbero un obiettivo presso il quale si trovano loro in quel momento.
E che, si fanno sparare addosso? È l’aggressore che, sganciando un missile contro un palazzo abitato, accetta o desidera che muoiano quelli che sono dentro quel palazzo, e quelli che si trovano nei paraggi in quel momento. Ma la domanda è: se chi spara con l’artiglieria vuol colpire un palazzo densamente abitato, chi gli ha indicato quel palazzo? Chi gli ha dato le coordinate? Poiché il lettore ha il diritto di non capire questo linguaggio, ma è suo interesse capirlo, glielo spiego. L’artiglieria non vede mai l’obiettivo sul quale spara, lo vedeva al tempo di Cadorna, ma poi non più.
Perché, poi, la gittata dell’artiglieria è diventata sempre più lunga, e oggi è lunghissima. Oggi arriva a decine di chilometri. Oggi chi spara non vede l’obiettivo su cui spara. E allora chi lo vede, chi glielo indica? Lo vede un osservatore, che sta nascosto nei pressi dell’obiettivo ed è collegato via radio con colui che spara. Questo osservatore fornisce le coordinate topografiche dell’obiettivo, e quando il colpo arriva indica se è arrivato giusto o lungo o a destra o a sinistra. Affinché l’arma possa correggersi e centrare il tiro. È un’operazione complessa, esige conoscenze matematiche.
Per questo quando viene colpito un obiettivo popoloso, magari un asilo, con la scritta 'Bambini' ben visibile sulla facciata, è difficile (e per me è impossibile) credere a un errore di mira, a un caso. La guerra è cattiva, per capirla bene bisogna incattivire il cervello. Ci sono stati più di 20 morti, in quel palazzo popoloso colpito da un missile o da un proiettile d’artiglieria l’altro giorno, mentre la cinepresa di un reporter lo inquadrava e noi spettatori lo guardavamo dalle nostre case nel mondo, e in noi tutti nasceva spontanea la domanda: chi li ha uccisi?
Per chi sa come funziona l’artiglieria, e come un cannone a lunga gittata abbia bisogno sia del gruppo che spara sia del gruppo di osservatori che fornisce le coordinate, la risposta non può non comprendere tutt’e due i gruppi. Uccidere a cannonate è un omicidio a opera di molti. Quindi di nessuno? È questa la risposta che si danno gli artiglieri, hanno bisogno di darsela, per sentire la loro operazione come tecnica, matematica, cerebrale, non morale, non umana.
Dopo una guerra, quelli che l’hanno combattuta nell’artiglieria sono i meno carichi di colpe, i meno tormentati. Come se c’entrassero meno, o non c’entrassero affatto. Invece c’entrano. Vedo questo colpo d’artiglieria che sventra un palazzo ucraino, e capisco la collera degli abitanti, i quali pensano che ci devono essere degli osservatori che indicano il bersaglio. È vero. Ci sono. Ma non sono i giornalisti.