Dietro ogni foto e ogni filmato di un bambino violentato c’è un bambino vero, di carne, che in qualche parte del mondo, soffre, piange, si dispera. Un innocente che ci supplica e chiede il nostro aiuto. Un nostro fratellino o una nostra sorellina, che, purtroppo, è tra gli artigli velenosi di belve senza scrupoli capaci di provare per quei corpicini tremanti e indifesi un’attrazione sessuale che supera e spezza ogni logica e dignità umana.
La pedofilia ci spaventa. E noi balbettiamo invece di parlare forte e chiaro. Siamo senz’altro nel campo di una patologia sessuale, che andrebbe studiata con più serietà e scientificità e tenuta sotto continua osservazione da parte di tutti gli Stati del mondo. Un comportamento che si fa sofferenza e crimine. E peccato, per chi crede che al di sopra di noi ci sia un Dio che tutto vede e tutto giudica secondo giustizia e misericordia.
Del dramma della pedofilia si parla sempre troppo poco, magari influenzati dall’emozione di una storia particolarmente tragica. Se ne parla solo quando la punta dell’immenso iceberg inizia ad affiorare. Occorre, invece, tenere alta l’attenzione e sapere che mentre si viene distratti da notizie e programmi tv di cui potremmo fare a meno, i pedofili, come in balìa di un demone che li rode, non dormono, non riposano, non sonnecchiano. Al contrario si danno da fare per continuare a soddisfare le loro voglie, fare male ai piccoli ed evitare di cadere nella rete della giustizia. I meandri di internet, come i cunicoli sotterranei di una grande metropoli, si prestano a soddisfare certe insane voglie. Davanti allo schermo di un computer si ha l’impressione di avere a che fare con qualcosa di irreale. Di non fare male a nessuno. Quel bambino che il pedofilo on line guarda e sul quale si eccita non c’è. Lui non lo tocca. E invece quel bambino c’è. Esiste. È tenuto prigioniero, e dev’essere liberato. E il pedofilo on line sa che il suo comportamento alimenta un traffico vergognoso. La pedopornografia on line pesa sulla vita delle piccole vittime di violenza sessuale quanto e forse più della stessa violenza subita. Il mercato della pedopornografia risponde alle stesse leggi del mercato delle scarpe, delle vacche, della prostituzione, della droga. La domanda di un prodotto spinge alla sua produzione. E metterlo in bella vista spinge a comprare anche chi pensava di non averne bisogno.
Monsignor Carlo Alberto Capella, nostro confratello, purtroppo, è caduto in questa trappola. Dal Tribunale vaticano è stato giudicato colpevole e condannato a 5 anni di reclusione. Questo odioso crimine commesso da un consacrato pesa mille volte di più dello stesso crimine commesso da un laico. Un prete non appartiene più a se stesso, liberamente ha scelto di essere di un Altro. Chi si imbatte in un prete, in chiesa, all’aeroporto, per la strada o nel deserto, deve sapere che sta incrociando un innamorato di Cristo, vero uomo e vero Dio. Una persona schierata sempre dalla parte del più debole, del più povero, del più piccolo. Io prete non sono un santo, posso senz’altro peccare, non imbrogliare. Posso peccare, non infangare, non calunniare. Posso peccare, non rovinare l’esistenza di un essere umano. Posso peccare, non incrementare con il mio comportamento un turpe commercio sulla pelle di bambini innocenti.
Il fondatore di Meter, don Fortunato Di Noto, che tanto sta facendo a favore delle piccole vittime della pedofilia e della pedopornografia, si è detto stupito che don Capella abbia definito «un incidente di percorso» nella sua vita sacerdotale il reato che ha ormai confessato, e che voglia continuare a essere prete. Mi unisco al suo stupore. Non di «incidente di percorso» si tratta, ma di qualcosa di molto grave che ha portato e sta portando tanta sofferenza agli innocenti e alla Chiesa. Don Capella deve scontare la sua pena e avviare un percorso per ritrovare se stesso. Il Vangelo che tante volte ha letto e commentato lo invita alla conversione, alla penitenza, all’espiazione. E lui e gli altri sacerdoti che si sono macchiati di questo orribile delitto devono sapere che tanti confratelli in tutto il mondo stanno arrossendo in volto per il loro peccato. E che tanta gente, a causa di questi insopportabili scandali, fa fatica a continuare ad avere fiducia nei preti.
Al termine della pena, don Capella, potrà fare ancora tante cose belle, impegnarsi per gli ultimi, gli emarginati, i poveri. Rendersi disponibile in qualsiasi forma e luogo dove c’è bisogno. Non più da prete, però.