In sé rappresenta una piccola rivoluzione. Prima ancora che per le tutele assicurate, a livello piuttosto embrionale, per il mutamento culturale che indica.
Lo Statuto dei lavoratori autonomi approvato ieri in via definitiva dal Senato, infatti, inizia finalmente a considerare la nuova tipologia di lavoratori professionisti e freelance non più come delle chimere, quasi degli ircocervi del mercato del lavoro, da ricondurre a una qualche forma di vita professionale conosciuta negli anni 70 del secolo scorso: gli iscritti a un ordine oppure i commercianti, i precari o i dipendenti. Così che, non sapendo come definirli, si parlava di «parasubordinati» o «false partite Iva» quando si riscontrava che il committente di fatto era uno solo. Oggi, invece, si prende atto non solo della loro esistenza – e si calcola siano 2,5 milioni di lavoratori nel nostro Paese – ma si comincia a considerarli come figure al pari delle altre e soprattutto con proprie specificità. Rispetto alle quali cercare di cucire un abito di tutele su misura o per lo meno non seguendo il profilo e lo standard di altre categorie.
È in questa logica che vanno lette, ad esempio, le misure sulla maternità che, oltre a prevedere il pagamento di un’indennità permettono che sia la professionista stessa a decidere quando e se fermarsi, interrompere l’attività senza che a fermarsi, a interrompersi sia la copertura dell’assegno. A prima vista potrebbe essere giudicata una misura che non garantisce a pieno le madri, la salute loro e dei bambini – e il rischio esiste per alcune figure di collaboratrici con poco o nullo potere contrattuale e perciò più facilmente esposte a potenziali ingiustizie – ma si tratta del riconoscimento di un protagonismo nella scelta delle stesse madri-lavoratrici. Anche in questo caso una piccola svolta rispetto a una visione 'normocentrica' e burocratica, per la quale a decidere è sempre e solo lo Stato. Allo stesso modo, sono apprezzabili l’estensione del periodo di congedo parentale, il migliore trattamento in caso di malattia, la deducibilità fiscale delle spese sostenute per la formazione (fondamentale per questi lavoratori) e di quelle per garantirsi contro i mancati pagamenti.
Sia chiaro, il provvedimento redatto un anno e mezzo fa dal governo di Matteo Renzi, poi emendato durante la discussione parlamentare, risulta ancora incompleto, lascia intuire tanti 'vorrei, ma non posso' soprattutto in materia di ammortizzatori sociali per la mancanza di copertura finanziaria. Non riesce ancora a evitare del tutto che i professionisti freelance si sentano dei lavoratori un po’ di 'serie B' rispetto agli iscritti agli ordini o ai dipendenti; non sana tutte le frammentazioni esistenti, come ad esempio per l’indennità di disoccupazione (Dis-col) resa stabile anche a favore degli assegnisti di ricerca, ma non in maniera generale per tutti gli iscritti alla gestione separata dell’Inps. Tuttavia è un deciso passo in avanti sulla strada giusta.
È importante pure aver iniziato a normare il cosiddetto smart working, il lavoro intelligente svolto in maniera flessibile anche a distanza. Qui, però, occorre che il governo e il Parlamento si fermino a norme minime di garanzia per lasciare il più ampio spazio possibile alla contrattazione. L’attività dei prossimi anni, sia essa in una fabbrica 4.0 piuttosto che in ufficio senza scrivanie, infatti, non può che svilupparsi sulla base di un confronto serrato e di un progetto condiviso con le rappresentanze dei lavoratori a livello aziendale o di gruppo, laddove si possono cogliere meglio specificità e opportunità. Tutele per tutti, ma più libertà e autonomia di immaginare e organizzarsi il lavoro del futuro.