Caro direttore,
nel discorso di fine anno, il presidente della Repubblica ha esordito ricordando che, mentre sta per iniziare il 2018, settant’anni fa, nello stesso momento, entrava in vigore la Costituzione della Repubblica, con il suo patrimonio di valori, di princìpi, di regole, fondativi della nostra vita democratica. E in questo orizzonte storico, Sergio Mattarella ha evocato la triplice dimensione del tempo, per sottolineare che la pace, la libertà, i diritti che sono il tessuto vitale della democrazia, pur conquistati, non sono acquisiti una volta per tutte, ma vanno coltivati e misurati con la realtà di un presente che tende a dilatarsi, cancellando la memoria del passato e oscurando le attese di futuro.
Il richiamo alla realtà è, insieme, consapevolezza e premura per la stagione problematica che il nostro Paese sta vivendo, ma anche convinzione che i problemi siano superabili, con l’impegno di tutti e, in particolare, di chi riveste ruoli istituzionali. Di qui la responsabilità della politica e dei partiti, ai quali Mattarella segnala il futuro come orizzonte dell’avviato confronto elettorale. Con altri termini, possiamo dire che la campagna elettorale è l’occasione privilegiata perché i partiti dimostrino di sentirsi responsabili del futuro e, perciò, portatori di una non illusoria speranza.
Purtroppo, le prime battute del confronto elettorale ripetono il logoro copione delle estemporanee promesse, di improbabile, se non impossibile praticabilità politica. Che dire, ad esempio, della proposta di Grasso di abolire le tasse universitarie, ignorando i guasti strutturali e il declino culturale delle università, prodotti dalla riforma Gelmini? Purtroppo, ai nastri di questa «falsa partenza» della campagna elettorale (come l’ha definita 'Avvenire' del 2 gennaio 2018), troviamo anche il Partito democratico, al quale anche recentemente, nell’incontro del 16 ottobre sul ruolo del cattolicesimo democratico in quel partito, abbiamo ricordato l’attualità del progetto originario che lo ha costituito.
Ecco: vorremmo una campagna elettorale ispirata all’alto profilo di quel progetto, oggi da declinare, con inderogabile urgenza, nella costruzione della democrazia sociale ed economica, nella quale l’adempimento dei doveri di uguaglianza sia condizione di esercizio dei diritti di libertà. Non basta l’estensione del bonus e neppure l’apprezzabile Reddito di inclusione a riequilibrare il sistema delle relazioni sociali, oggi fortemente sbilanciate e mortificate dagli accresciuti individualismi, anche collettivi. La qualità sociale della democrazia e il paradigma interpretativo e applicativo dei doveri di uguaglianza risultano dalla centralità del lavoro, strumento primario di inclusione sociale. E ben ha fatto il Pd a porlo tra le priorità del suo programma, ma non escluda una revisione migliorativa del Jobs Act, da inserire in una riforma complessiva del mercato del lavoro e delle prestazioni professionali, anche ai fini di una più equa fiscalità e di un severo controllo dell’evasione fiscale.
Da questa prospettiva, va misurato il carico dei bisogni per l’accresciuto disagio sociale e riscritta l’agenda delle politiche per le nuove generazioni (Neet, obbligo formativo, alternanza scuola-lavoro, diritto allo studio...). Infine, non possiamo trascurare la nostra viva preoccupazione per la politica adottata dal governo Gentiloni nei confronti dell’immigrazione. Il paradosso di queste misure restrittive è che, mentre nel 2017 gli sbarchi sono calati di un terzo (a quale prezzo umano!) rispetto all’anno precedente, è cresciuta l’ostilità della gente verso gli stranieri. Nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, papa Francesco propone «quattro pietre miliari per l’azione»: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Non possono non essere, su un piano più generale, i quattro passaggi obbligati di una rinnovata politica dell’accoglienza, ispirata ai doveri di uguaglianza e di solidarietà.
*Coordinatore nazionale di Agire Politicamente