Assorbiti dalle due grandi transizioni (ecologica e digitale) che decideranno il nostro futuro tra emergenza climatica e intelligenza artificiale non ci accorgiamo di una terza transizione/rivoluzione pienamente in corso, quella demografica, che ci sta travolgendo e delle sue conseguenze sul problema degli anziani e della non autosufficienza.
Come è noto, in Italia ormai da tempo non esiste più quella che un tempo chiamavamo la “piramide” demografica (base di giovani ampia e classi di età che via via si assottigliano). Quello che abbiamo di fronte assomiglia più ad un “muffin”, una specie di pentagono con una fascia intermedia di massima ampiezza rappresentata dalla classe dei baby boomer (oggi tra 55 e 65 anni) che si avvicinano progressivamente all’età della pensione. Nel contempo i progressi della scienza medica hanno aumentato l’aspettativa di vita (oltre gli 80 per gli uomini, oltre gli 84 per le donne) cullandoci nell’illusione che tutta quella vita sia in buona salute. In realtà le statistiche ci dicono che dopo i 65 dobbiamo aspettarci (con differenze significative tra i più e i meno istruiti) in media una decina di anni in buona salute e un’altra decina di anni nei quali patologie un tempo mortali oggi sempre più cronicizzate, riducono significativamente capacità e funzionalità.
Il passaggio da una fase all’altra implica un cambiamento drastico di stili di vita e di consumi.
Gli over 65 in buona salute sono vivaci e dinamici consumatori di beni culturali, di turismo e attività ricreative e impegnati nella cura dei nipoti mentre, passata la soglia della buona salute, tutto o quasi il fabbisogno di spesa viene assorbito dall’assistenza medica (caregivers, farmaci e materiali ed attrezzature di ausilio). Dal lato economico questo significa che in una famiglia in cui i coniugi si trovassero ad avere entrambi i genitori in questa fase sarebbero necessari circa due/tremila euro al mese per anziano sia nella soluzione del caregiver domestico che in quella del trasferimento in struttura, un peso economico evidentemente insostenibile anche per le famiglie più abbienti. Sappiamo che elementi essenziali nella qualità della vita di chi attraversa questa fase difficile sono la domiciliarità, la qualità della vita di relazioni e l’incontro tra le generazioni, oltre che il mantenimento di spazi di generatività. Difficile se non impossibile tenere assieme tutti questi elementi in una civiltà che ha abbandonato il modello delle famiglie allargate e dove sempre più persone anziane vivono in solitudine.
Per questi motivi l’iter legislativo sulla non autosufficienza – nato su impulso del Patto costituito da 60 associazioni che a vario titolo rappresentano o si occupano di anziani – è progredito nel tempo, arrivando a maturazione con la legge delega del marzo 2023 votata all’unanimità dal Parlamento. Vita più difficile ha avuto invece il decreto legge di attuazione del gennaio 2024, che ha registrato il parere negativo della Conferenza delle Regioni e sconta aspettative deluse. Se non vogliamo fermarci a piangere sul latte versato, quello stesso decreto rappresenta una cornice fondamentale in cui disegnare nei prossimi mesi le strategie in grado di ottenere il migliore e più generativo impatto sociale tenuto conto dei vincoli delle risorse economiche. E deve diventare sempre più terreno di impegno di maggioranze e schieramenti politici opposti che devono competere positivamente e continuare a fare progressi in materia.
Riassumendo la strategia per le diverse fasi, in grandi linee si tratta di investire con detrazioni fiscali e anche con strumenti di finanza innovativa con partnership pubblico/privato, come i social impact bond, in tutte quelle attività che rendono la vita degli over 65 in buona salute generativa (formazione permanente, volontariato) allontanando il più possibile l’arrivo della seconda fase. Un tema di grande interesse da questo punto di vista è la crescita delle opportunità di mentoring che evitano il traumatico passaggio “da una vita attiva di lavoro alla panchina” e offrono ai neo pensionati opportunità di affiancamento e trasmissione di conoscenze ed esperienze ai lavoratori più giovani.
Un’altra decisione chiave riguarda quante risorse mettere a disposizione degli anziani non in buona salute e dove porre l’asticella sopra la quale si incrementa l’indennità di accompagnamento. Tenendo conto che la legge delega prevede espressamente che l’indennità di accompagnamento resti a carattere universale e possa essere incrementata e graduata per incentivare l’utilizzo di servizi, ma non possa avere un importo inferiore a quello previsto attualmente né escludere soggetti beneficiari perché non autosufficienti in base al loro Isee. Necessario inoltre completare la digitalizzazione delle procedure (per eliminare inefficienze e sprechi collegati alle mancate comunicazioni degli avvenuti decessi) e avviare processi di co-progettazione dando spazio e protagonismo alle famiglie investite in prima persona dal problema e consapevoli dei bisogni emergenti. Infine, c’è la questione chiave, nell’ultimissima fase della vita dell’accesso universale alle cure palliative che con l’avvento dell’autonomia differenziata rischia di diventare un’utopia.
Nel decreto legge troviamo molte buone idee e questioni importanti da ulteriormente a fuoco e valorizzare pienamente come il volontariato dei giovani per gli anziani, l’housing intergenerazionale, i requisiti minimi di qualità per i caregiver e la valorizzazione del tempo donato da parte dei caregiver familiari.
Se pensiamo che la chiave della soddisfazione e ricchezza di senso della vita è e resta quella della relazione e delle relazioni di cura dobbiamo e possiamo utilizzare risorse per promuovere ed incentivare il farsi prossimi e creare uno spazio di significato nella vita degli anziani non più in buona salute senza lasciare sole e prive di protezioni le famiglie.
La filosofa canadese Jennifer Nedelsky, con un’espressione molto felice, ci ricorda che quando ci incontriamo dovremmo domandarci non solo “che lavoro fai?” ma anche “di chi ti prendi cura”. Politiche sociali, culture e modelli economici capaci di valorizzare l’attività della cura saranno fondamentali per la sostenibilità del nostro futuro. Non solo per quella economica e demografica, ma anche per quella della ricchezza di senso del vivere di chi si renderà prossimo.
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