«Torniamo allo Statuto» s’intitolava un celebre scritto di Sidney Sonnino, pubblicato nel 1897 sulla Nuova Antologia. Torniamo alla Costituzione, verrebbe da dire oggi, con un fine però del tutto opposto a quello del politico e ministro dell’Italia post-risorgimentale, il quale contestava l’eccessivo condizionamento dell’esecutivo da parte del Parlamento. Al contrario, l’Italia odierna avrebbe un gran bisogno di tornare alla lettera e allo spirito della Costituzione del 1948 per riavvicinarsi a un ideale di democrazia parlamentare e di Stato di diritto divenuto negli anni sempre più distante e sfocato.
Eppure, fino a poco più di un mese fa si battagliava verbalmente nelle piazze, sui giornali, in rete, proprio intorno al valore della Carta fondamentale repubblicana. Che cosa è rimasto di quell’"incendio"? È stata vera passione o soltanto l’ennesima contrapposizione tra partiti, tra correnti di partito, tra etichette politiche, a prescindere dal merito della riforma costituzionale sottoposta a referendum? Con il No o con il Sì non sarebbe finito il mondo e, per fortuna, nemmeno l’Italia. Lo aveva riconosciuto, ben prima del 4 dicembre, lo stesso Matteo Renzi, che a causa della bocciatura di quella riforma, con inusitata prontezza per le abitudini italiane, ha pagato (e potrebbe pagare ancora) un prezzo politico salatissimo. Però la grande partecipazione popolare al voto ci ha detto che gli italiani ancora tengono alla Costituzione, non importa se volevano conservarla così com’è, cambiarla proprio come era stata cambiata o modificarla in altro modo. Il punto è che oggi, ma non da oggi, la Costituzione è in buona parte non rispettata, in senso letterale: non le si porta il rispetto dovuto. Non si ha più riguardo, cioè, alla sua essenza profonda, che non sta nel bicameralismo paritario o nella concorrenza legislativa tra Stato e Regioni, ma nei princìpi che connotano l’Italia come una grande liberaldemocrazia occidentale.
Un paio di esempi lampanti occupano le cronache di questi giorni. Il primo: una forza politica importante, il Movimento 5 Stelle, pretende dagli eletti nelle sue liste la firma di un documento che prevede una penale in denaro se questi, in corso di mandato, lasciano il Movimento. Eppure la Costituzione (articolo 67) parla chiaro: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».
Ciò non vale solo per senatori e deputati, ma in base a norme diverse anche per tutti gli altri eletti. Perché, dunque, fingere di poter ignorare un simile caposaldo? Il secondo esempio riguarda il più grande sindacato italiano, la Cgil, che ha depositato un quesito referendario – quello che puntava non solo alla reintroduzione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma anche alla sua estensione – dichiarato poi inammissibile dalla Consulta. Ebbene, non occorreva essere un giudice costituzionale per intuire la natura manipolativa di quel quesito. Ed è inverosimile che a Corso d’Italia, dove i bravi giuristi certo non mancano, non ne fossero consapevoli. Perché, dunque, forzare la mano sull’articolo 75 della Costituzione che prevede referendum esclusivamente (ma realmente) abrogativi?
Restando nell’ambito del diritto al lavoro, poi, potremmo chiederci che ne è, oggi, dell’articolo 36: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». E, a proposito di Stato di diritto, dell’articolo 27, laddove stabilisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Per anni qualcuno ha perfino messo in discussione l’articolo 12 (il Tricolore italiano) insieme all’unità nazionale, salvo virare più di recente verso l’estremo opposto: il cosiddetto «sovranismo». Non si capisce bene che cosa sia, ma di certo fa rima, proprio come secessionismo, con egoismo e avventurismo. Non siamo sicuri, infine, che siano rispettati in pieno gli articoli 10 e 11, sul diritto di asilo e sul ripudio della guerra.
C’è già stato chi, per descrivere l’attuale situazione italiana, ha fatto ricorso al terribile paragone con la Repubblica di Weimar. Un’esagerazione, crediamo. E c’è da augurarselo con tutto il cuore. Ma riscoprire e tornare, tutti, alla Costituzione può ben essere la strada giusta per tirare fuori l’Italia da quella sorta di tunnel politico, istituzionale e civico in cui sembra essersi cacciata.