Ho sempre pensato che gli eccessi, le bramosie degli uomini – anche quando sfiorano il pericolo, l’assurdo, il peccato – che li portano a voler vedere, godere, possedere quanto più è possibile, siano una delle prove dell’esistenza di Dio. Stanno a dire, infatti, che nulla mai potrà mai appagarli appieno. Che c’è sempre un “oltre” da raggiungere, per quanto con la lettera minuscola; che nessuno basta a se stesso. Le stesse benedette e utilissime curiosità scientifiche potrebbero essere lette in questo senso. La scienza con le sue spiegazioni non esaurisce ma moltiplica le domande.
Per chi, come la maggior parte degli esseri umani, vive lavorando, sudando, facendo sacrifici, la scelta di scendere negli abissi dell’Oceano, di alcuni ricconi, è apparsa fin da subito inspiegabile. La maggior parte di noi si è posta la domanda: ma perché gettare via tanto denaro e mettere a rischio la propria vita? Per soddisfare quale curiosità? Di cose belle da vedere sulla terra ce ne sono tante. Quella del Titanic è una storia triste e dolorosa. A distanza di più di un secolo il fantasma di quella tragedia ancora ci coilvolge e ci commuove. A bordo, in quelle terrificanti ore, si registrarono atti di prepotenza, di egoismo, di eroismo. Il terrore si era impossessato di tutti. La morte vista da vicino è spaventosa. Da più di un secolo quel relitto riposa in fondo al mare. Avvolto nel silenzio, custode geloso dei suoi mille segreti. Forse un giorno, chissà, senza correre rischi, lo si potrà interrogare più a fondo e ascoltarlo dopo un silenzio secolare. Forse, chissà. O, forse, è meglio di no. I misteri esercitano attrazione e fascino finchè restano misteri. In caso contrario, anche il Titanic è destinato a diventare un relitto come gli altri.
Ma è sugli uomini a bordo del sottomarino Titan che vogliamo soffermare la nostra attenzione. Sono stati coraggiosi o incoscienti? Un po’ l’uno un po’ l’altro. Certo, per chiudersi in quel piccolo involucro di coraggio ce ne vuole, eccome. Ma senza un pizzico d’incoscienza anche il più coraggioso tra gli uomini avrebbe rinunciato a farlo. Se lo potevano permettere, erano ricchi. Hanno sfidato il fato. Sono rimasti intrappolati. Non oso pensare alle ore in cui è iniziato il conto alla rovescia, quando l’ossigeno che li manteneva in vita è andato lentamente esaurendosi. Quella corsa spietata contro il tempo, e la speranza che li sorreggeva. E il panico che, a tratti, sopraggiungeva. E la disperazione che prendeva il sopravvento nella lotta contro la speranza che ritornava a galoppare. Non oso pensare che cosa voglia dire morire lentamente per mancanza di aria. Abbiamo sperato che ce la facessero, abbiamo pregato che potessero ritornare a galla ed essere accolti con un liberante applauso. Anche per noi le loro ultime ore sono state angosciose. Inesorabili. Avremmo voluto fermarle. Bloccare la clessidra. Gridare con il profeta: «Fermati, o sole». Non è stato possibile.
Il mondo intero ha partecipato con fraterna emozione al tentativo di recupero. La solidarietà commuove. Quando l’uomo si fa accanto al suo fratello - anche e soprattutto se non lo conosce – si eleva.
Il pensiero, però, corre veloce anche ad altri mari.
Mari che stanno ingoiando non cinque ma migliaia di persone. Fratelli e sorelle che non scelsero di imbarcarsi per divertimento, forse per noia, o per qualche motivo che non ci è dato sapere, ma costretti dalla fame di pane, dalla sete di libertà, dal sogno di vivere insieme ai figli giorni migliori. Li abbiamo visti annegare, piangere, disperarsi, morire decine e decine di volte. Li abbiamo lasciati morire anche quando avremmmo potuto salvarli. Non lo abbiamo fatto. E per questo peccato immenso la coscienza grida. Davanti a Dio, agli uomini, alla storia. La vita è preziosa sempre, ovunque. La vita del ricco e la vita del povero. Quella del miliardario prigioniero in fondo al mare per sua stessa scelta e quella dell’immigrato che affoga tra le onde gelide suo malgrado.