
Piergiorgio Pirrone
Per provare a rispondere alla domanda “in cosa speriamo” vorrei partire dal termine “speranza”. Le sue diverse chiavi di lettura hanno almeno due tratti comuni: la proiezione nel futuro, come sottolinea l’enciclopedia Treccani, e la realizzazione di qualcosa di positivo. Il riferimento a “qualcosa di positivo” è inevitabile che sia fortemente influenzato della dimensione personale (esperienze, competenze, aree di interesse, ecc.). Per me, che sono un credente professionalmente impegnato nella Sanità pubblica, il significato di questa parola ha a che fare particolarmente con la salute e il benessere di persone e comunità.
Riflettere su “cosa speriamo” non è però solo una occasione per condividere scenari e prospettive ideali personali, ma, cercando di evitare il rischio di sconfinare nell’astratto, per riconoscere, della speranza, segni concreti e coglierne le possibili prospettive. È una riflessione, che è insieme un’opportunità, per condividere alcuni orizzonti anche al di là della dimensione escatologica della speranza, propria di chi si riconosce credente. Ci sono segni di speranza? I tempi straordinari che stiamo vivendo mettono in gioco valori, regole, accordi, tradizioni che, pur attraverso molte contraddizioni, hanno definito negli anni recenti il nostro contesto occidentale e quello nazionale. Questo scenario coinvolge tutti gli aspetti del nostro vivere personale e sociale e certamente anche la dimensione della salute, del benessere (Well Being) e la struttura dei sistemi sanitari. La fase storica attuale è caratterizzata dalla contemporanea presenza di eventi globali a fortissimo impatto locale: dagli effetti del cambiamento climatico all’emergere e riemergere di patologie infettive a carattere epidemico, alla presenza di guerre e conflitti, di imponenti flussi migratori, ma anche alle crisi economiche, agli effetti dell’urbanizzazione e della globalizzazione, alle trasformazione per l’invecchiamento della popolazione, la crisi della natalità e l’aumento della solitudine, alla rivoluzione della informazione.
In una prospettiva sanitaria spiccano alcuni fenomeni come, per esempio, il fatto che ci siano sempre più persone affette da più di una patologia, il crescente impatto dei disturbi legati alla salute mentale, e l’aumento delle diseguaglianze anche sostenute da determinanti di salute ben noti come povertà e alfabetizzazione che rimangono drammaticamente attuali. È uno scenario destinato a perdurare (almeno nel breve e medio termine) e che spaventa, disorienta e rischia di confinarci in atteggiamenti di rassegnata passività come fossimo contemporaneamente spettatori e protagonisti di una storia che non dipende da noi. È anche difficile in questo contesto rintracciare un orizzonte di riferimento condiviso, schiacciati come siamo dal contingente e dalle risposte reattive immediate a eventi e notizie spesso conflittuali che ci impediscono di avere uno sguardo più lungo e ricollocare noi stessi e le comunità in cui siamo inseriti in una prospettiva storica. Ma in realtà viviamo anche circondati da segnali concreti capaci di alimentare la speranza.
Ne provo a condividere alcuni. Nel travagliato secolo scorso, proprio grazie a interventi su alimentazione, istruzione, protezione sociale, standard igienici e condizioni di vita, uniti al progresso delle conoscenze e della tecnologia, la durata media di vita è raddoppiata in Italia e a livello globale. All’inizio del secolo scorso (1900), nel nostro Paese l’attesa media di vita alla nascita era pari a 41,9 anni, oggi a poco più di un secolo di distanza (2023) l’attesa media di vita alla nascita supera gli 83 (83,1) anni e continua ad allungarsi. Grazie ai vaccini e a uno sforzo globale scientifico, tecnologico, politico e sociale si è riusciti a eradicare una patologia drammatica come il vaiolo, a eliminare – quanto meno nella larghissima parte del mondo – una patologia come la poliomielite, e più in generale a ridurre drasticamente l’impatto drammatico su mortalità e invalidità delle malattie infettive dell’infanzia.
Risultati altrettanto positivi ci vengono dall’impegno nel prevenire e contrastare il cancro. Oggi in Italia stimiamo che il 27 % delle persone che hanno avuto un cancro (3.6 milioni nel 2020) possa essere considerata guarita (ovvero con la stessa attesa di vita di persone di pari sesso ed età che il cancro non lo hanno avuto).
Sono alcuni dei risultati straordinari, di cui non sempre siamo consapevoli, che a mio avviso ci consentono di guardare con speranza al futuro. Il fatto che questi cambiamenti avvengano in un lungo arco temporale rischia purtroppo di renderli invisibili rispetto a singoli eventi spesso drammatici su cui tende a concentrarsi quotidianamente la nostra attenzione, e soprattutto di farci perdere la consapevolezza che possono essere reversibili. Ulteriori segni di speranza sono i risultati del velocissimo progresso tecnologico anche in campo biomedico, che consentono la messa a punto di strumenti e modelli sempre più precisi e sofisticati nell’affrontare le risposte ai nostri bisogni, inclusi quelli di salute e benessere. Segno concreto di speranza sono anche i molti dati di cui disponiamo per leggere e comprendere la realtà che ci circonda, a livello internazionale, nazionale e regionale. Sono strumenti che ci possono aiutare nell’identificare programmi e priorità di azione per promuovere e migliorare Salute e Benessere. È un patrimonio, questo, che non genera di per sé un’azione ma ci mette di fronte delle scelte individuali e collettive capaci di influenzare il nostro futuro.
C’è poi una dimensione quotidiana della speranza , tessuta di incontri ed esperienze personali. Io la scorgo ogni giorno negli occhi curiosi, attenti ed entusiasti degli studenti, la vedo nei giovani colleghi in formazione mentre sperimentano, discutono ed elaborano evidenze ed esperienze per garantire con empatia, a persone e comunità, risposte tecnico-scientifiche alle domande di salute. Speranza per me è anche la competenza e la passione che colgo nei professionisti del Servizio sanitario nazionale che, nonostante le mille difficoltà, quotidianamente cercano di dare le migliori risposte ai pazienti e a chi sta loro accanto. Segno di speranza sono le molte iniziative (spesso poco conosciute) che istituzioni locali e terzo settore provano a sperimentare per dare una risposta al crescente problema della solitudine e dell’isolamento sociale. Speranza è il volto di molte persone, spesso organizzate in associazioni, che quotidianamente e discretamente si fanno carico dei bisogni delle persone più fragili. Ho la fortuna di poterne incontrare molte in tutte le regioni di Italia, sentire i loro racconti e toccare con mano il loro entusiasmo e la concretezza del loro agire, e da questa esperienza esco ogni volta rigenerato e arricchito. Sono realtà e segni concreti diffusi capillarmente in tutto il Paese e di cui spesso non ci accorgiamo.
Cosa vuol dire per me, in questo anno giubilare, essere “pellegrino di speranza”? Vuol dire partire dalla consapevolezza che noi (persone e comunità) siamo protagonisti attraverso le scelte che facciamo ma anche attraverso quelle che non facciamo. Vuol dire rendere evidente a chi ci sta accanto, all’opinione pubblica, ai decisori, l’esistenza, l’importanza e la ricchezza di tutte le realtà che operano per il bene comune. Vuol dire progettare e modellare le nostre comunità e i contesti in cui siamo inseriti avendo in mente l’agenda Onu 2030 e i suoi indicatori: rafforzare il Ssn a partire dai suoi valori ispiratori è assolutamente necessario, anche se non basta per garantire salute e benessere.
Vuol dire saper riconoscere e valorizzare i tanti segni di speranza che oggi esistono, contribuire a connetterli, trovare tra loro un filo conduttore per farli diventare reti ed esempi contagiosi. Provare a essere “pellegrino di speranza” per me vuol dire, partendo da questi segni, riflettere e comprendere il nostro presente (il “già”) per immaginare e costruire, in modo condiviso, un futuro dove il bene comune, la salute e il benessere sono garantiti universalmente ed equamente. È una sfida che appartiene a ogni cittadino e alla quale un credente può portare la consapevolezza, la forza e la ricchezza del “non ancora”.