«Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente… san Benedetto con la croce, cioè con la legge di Cristo, diede consistenza e sviluppo agli ordinamenti della vita pubblica e privata… e cementò quell’unità spirituale in Europa in forza della quale popoli divisi sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costituire l’unico popolo di Dio». Queste parole, tratte dalla lettera apostolica Pacis nuntius con la quale Paolo VI proclamava san Benedetto patrono dell’intera Europa (24 ottobre 1964), dicono con chiarezza le ragioni di una tale scelta. Ad esse il Papa aggiungeva un’ulteriore, importante considerazione: «Col libro, poi, ossia con la cultura, lo stesso san Benedetto, da cui tanti monasteri attinsero denominazioni e vigore, salvò con provvidenziale sollecitudine, nel momento in cui il patrimonio umanistico stava disperdendosi, la tradizione classica degli antichi, trasmettendola intatta ai posteri e restaurando il culto del sapere. Fu con l’aratro, infine, cioè con la coltivazione dei campi e con altre iniziative analoghe, che riuscì a trasformare terre deserte e inselvatichite in campi fertilissimi e in graziosi giardini; e unendo la preghiera al lavoro materiale, secondo il suo famoso motto “ora et labora”, nobilitò ed elevò la fatica umana».
È anche grazie a questa antica semina che il 25 marzo 1957 i ministri degli esteri di cinque Paesi - Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo - firmarono il trattato costitutivo della Comunità economica europea (Cee), insieme a quello che stabiliva la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). La Dichiarazione di Roma (25 marzo 2017), sottoscritta in occasione del sessantesimo di quegli accordi dai rappresentanti dei ventisette Paesi che costituiscono oggi l’Unione, ha ribadito il valore fondamentale dell’unità europea e le urgenze relative a quattro priorità da affrontare insieme: la sicurezza, la crescita, il “welfare” e la difesa. In questa luce, la Dichiarazione rilancia l’impegno per «un’Europa più forte sulla scena globale»: perché questo avvenga, però, sarà quanto mai necessario ritornare alle ragioni morali e spirituali che motivarono il processo di costruzione dell’Europa unita. Perciò, ricevendo i Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea alla vigilia di quel sessantesimo, papa Francesco volle citare queste parole pronunciate a Parigi il 21 aprile 1954 da Alcide de Gasperi: «L’Europa è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere o di pretese da rivendicare. All’origine dell’idea d’Europa vi è la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, […] con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria».
Certo, negli ultimi decenni il mondo è non poco cambiato: molteplici sono oggi i fattori di crisi, di cui la “pointe” può essere riconosciuta nell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin e non meno in quanto sta avvenendo a Gaza. Ogni crisi, però, porta con sé sfide e opportunità nuove, che dovranno essere colte ritornando ai principi fondatori e ispiratori. La memoria delle radici è, dunque, la prima condizione di un futuro fecondo ed è in tal senso un dato di fatto che nessun altro soggetto della storia europea al pari della Chiesa può farsi portavoce della missione del Vecchio Continente. La grande ispirazione della cultura europea è debitrice della “novità” cristiana: l’idea di “persona”, che è alla base di ogni affermazione del valore assoluto dell’essere umano unico e singolare, la concezione della storia come aperta verso un progresso possibile e orientata verso una meta sperata, la fondazione dell’etica in una rete di relazioni di reciprocità, che partono da quella col Dio personale, sono senza dubbio frutto dell’ingresso del Vangelo nel tessuto vitale dei popoli europei, valori che hanno permeato l’ethos dell’Occidente. Proprio per questo appare in radicale contrasto con le radici morali dell’Europa unita il fatto che siano oggi i rappresentanti più alti della stessa Unione a invitare al riarmo: tutte le grandi voci che hanno dato spirito e corpo alla civiltà europea - da San Benedetto ai santi Cirillo e Metodio, da San Francesco d’Assisi ai “folli di Dio” della spiritualità russa - vanno in senso opposto a qualsivoglia progetto bellicista.
Nel citato discorso del 21 aprile 1954 Alcide De Gasperi affermava ancora: «È l’imperativo categorico che bisogna fare l’Europa per assicurare la nostra pace, il nostro progresso e la nostra giustizia sociale che deve anzitutto servirci da guida... Tutta la nostra costruzione politico-sociale presuppone un regime di moralità internazionale». Sottolineando l’importanza della scelta morale da porre alla base dell’impegno per “fare l’Europa”, De Gasperi ne evidenziava gli scopi in particolare al servizio della sicurezza e della pace. Alla voce di Alcide De Gasperi si univano quelle dei francesi Robert Schuman e Jean Monnet e di Konrad Adenauer, Cancelliere della Germania occidentale, tutti da annoverare fra i Padri fondatori dell’Europa unita. Ad essi è dovuta la migliore Europa, di cui tutti i cittadini europei dovrebbero sentirsi fieri e per la quale dovrebbero impegnarsi: l’Europa dei popoli e delle coscienze, nutrita dalle grandi motivazioni morali che hanno fatto e fanno l’unicità europea. Se pur l’idea di una Europa paladina della pace fosse un’utopia, varrebbe la pena farne tesoro: perché, come scriveva Paul Ricoeur in un suo bel saggio su L’Europa e la sua memoria, «i popoli non possono vivere senza utopia, al pari degli individui senza il sogno… L’importante è che le nostre utopie siano responsabili: tengano conto del fattibile e dell’auspicabile, vengano a patti non solo con le resistenze spiacevoli della realtà, ma anche con le vie praticabili tenute aperte dalla coscienza storica». La sfida è fra le più serie che l’Europa abbia dovuto affrontare dagli inizi del processo ambizioso della sua unità: su di essa e su come sarà affrontata si misureranno il presente e il futuro dell’Unione e la sua effettiva rilevanza nella storia dell’umanità.