Il dibattito sulla chiusura o la riapertura delle scuole si fonda su due grossi equivoci che andrebbero al più presto risolti, pena il mantenimento di una situazione che appare sempre più surreale. Si tratta di due equivoci su cui il progetto non dichiarato di chiusura delle scuole mantiene il suo dispotismo. Il primo equivoco è che le scuole non sarebbero veramente chiuse e andrebbero comunque avanti in quanto la 'Dad', quella che ha portato in tutta Italia al 100% la didattica online per gli alunni delle Superiori e una buona percentuale anche delle Seconde e Terze Medie, equivarrebbe a tutti gli effetti alla scuola in presenza.
E che scuola online e scuola in presenza sarebbero sostanzialmente la stessa cosa. Vorrei chiarire che nonostante si continui a parlare di didattica a distanza o di scuola online i termini sono impropri. Non si tratta né di didattica né di scuola, ma di forme puramente succedanee per giustificare, se non legittimare, il fatto che le scuole, a tutti gli effetti, sono chiuse e gli alunni delle Superiori sono a casa dietro un videoschermo. Al contrario, la scuola non può che essere una presenza vitale e concreta, un’osmosi sociale basata sulla condivisione fra gli alunni, non su videolezioni tenute da insegnanti dietro a un monitor. Cosa che potrebbe essere tranquillamente realizzata sia da Facebook, Google, Wikipedia o quant’altro attraverso link a siti specificamente dedicati.
La Dad non può definirsi scuola: è un surrogato! È una “soluzione” veramente mortificante per chi la scuola la ama davvero e per chi conosce la pedagogia, l’educazione e tutti i suoi risvolti. Torniamo al punto di partenza e restituiamo a Cesare quel che è di Cesare. Scuola chiusa vuol dire che gli alunni non ci sono, scuola aperta vuol dire che gli alunni ci sono. Il resto non è altro che una manipolazione semantica e linguistica. Il secondo equivoco riguarda la scuola come unica istituzione a cui si chiede il perfezionismo medico- sanitario. E non è mai abbastanza.
Le “pretese” sono le più svariate. Al Nido e alla Materna le maestre stanno in presenza con la mascherina, i bambini devono essere portati in buone condizioni fisiche (basta un raffreddore che vengono sottoposti al tampone). Ne sa qualcosa il mio nipotino di 3 anni, risultato poi, per fortuna, negativo. Nel caso di una positività, vengono messe in quarantena non solo la classe del bambino, ma anche quelle frequentate dall’insegnante titolare della sezione. Dalla Prima Elementare, i bambini devono stare tutto il giorno (5 ore la mattina e 3 ore il pomeriggio) con la mascherina e possono toglierla solo quando vanno in mensa a mangiare. Un sacrificio e una sofferenza enorme che ogni bambino sta facendo non senza dolore, ma con la dedizione che gli è tipica. In classe non possono scambiarsi alcun oggetto e ogni giorno devono portare a casa tutto, in uno zaino che spesso pesa anche fino a 6 chili (e stiamo parlando di bambini dei primi anni delle Elementari).
E mi fermo qui... Parlando solo dei più piccoli. Si tratta di un livello di attenzione e di scrupolosità che mette spesso in ginocchio le scuole, sottoposte a un regime di tamponamenti e di quarantene estremamente rigorose. A fronte di tutto questo, si chiede ancora di più. Si parla dei trasporti come se si trattasse di un aspetto a sé stante, si parla di ventilazione come se si potessero tenere aperte le finestre in pieno inverno. Si parla... ma di cosa? Nemmeno dagli ospedali si pretende il perfezionismo medico- sanitario richiesto alle scuole. È solo un alibi. Che i denigratori della scuola vengano fuori, all’aperto, dichiarando che la ritengono sostanzialmente inutile e che non è vero quello che noi tecnici sosteniamo, ossia che la scuola è salute e, senza, il nostro futuro rischia di essere compromesso. È ora di interrompere il prima possibile questo gioco del cerino cosicché le scuole possano riaprire. Abbiamo prove sufficienti che non sono l’epicentro dei focolai. Sono piuttosto un epicentro di speranza e di futuro.
Pedagogista