Caro direttore,
c’è un dovere urgente e indifferibile che grava sui cattolici italiani, quello di operare per occupare gli enormi spazi – attualmente lasciati in gran parte vuoti – che il magistero e la dottrina papale più recenti hanno aperto davanti a noi tutti: a questo ci ha esortato il cardinal Bassetti pronunciando parole forti e chiare all’ultima Assemblea generale della Cei. Qualificare queste parole come mere espressioni di rito è impossibile e, direi, addirittura disonesto: i segnali che provengono dalla società civile, dalla società politica, dalla scuola, dal mondo del lavoro, dalle aule parlamentari sono inquietanti e ci impongono, in modo estremamente ruvido, di prendere atto che la marginalità della presenza cattolica nella società politica attuale va superata. Ma come?
In primo luogo, con un severo esame di coscienza. Dobbiamo tornare a riflettere sull’esperienza, pluridecennale, dell’Italia repubblicana all’epoca della cosiddetta Prima Repubblica. In quegli anni, i cattolici hanno condiviso un’idea, dolce ma illusoria: quella di una sana, facile, necessaria convergenza dei valori professati dalla comunità cristiana e dei valori propri di una società civile 'laica'. La Costituzione, nata da nobile sintesi di liberalismo, socialismo e dottrina sociale della Chiesa, per anni e anni è stata letta come un’esplicita testimonianza in tal senso. Diverse generazioni di politici, intellettuali e operatori sociali cattolici hanno pensato che i valori costituzionali (soprattutto quelli cristallizzati nella prima parte della Costituzione) non di altro avessero bisogno se non di essere rigorosamente tutelati e sempre più efficacemente promossi. Di qui, prima che il turbamento, la meraviglia che venne avvertita dai cattolici, quando si cominciarono a percepire i primi scricchiolii di questo paradigma. Nel 1965 Loris Fortuna presentò un disegno di legge volto a disciplinare i Casi di scioglimento del matrimonio: non furono pochi i giuristi cattolici che ritennero di doverlo combattere in quanto incostituzionale, in quanto fermamente convinti che il matrimonio fosse da ritenere indissolubile non solo per diritto naturale, ma anche per dettato della nostra Costituzione. Conosciamo tutti quale fu il susseguirsi degli eventi: tutti i diversi, generosi tentativi di ostacolare la secolarizzazione del nostro ordinamento, di battere le nuove normative divorziste, abortiste, procreatiche, anti-familiari ricorrendo a battaglie parlamentari e a referendum popolari sono via via naufragati.
Di questo dobbiamo prendere atto, con estrema (e sofferta!) onestà intellettuale: non solo non esiste più nel mondo occidentale secolarizzato una spontanea e compiuta convergenza giuridica e sociale tra 'valori secolari' e 'valori cristiani', ma ogni tentativo di riattualizzare legalmente tale convergenza si dimostra impraticabile. Il che non significa affatto che tra secolarismo e cristianesimo sia in atto una guerra aperta: la cultura oggi dominante rispetta profondamente i valori cristiani, purché coloro che li professino non pretendano più di imporli come 'valori comuni' e accettino e rispettino, di conseguenza, i 'nuovi' valori etico-sociali che la cultura secolare promuove democraticamente. Il discorso potrebbe anche chiudersi qui (è proprio quello che molti 'laici' vorrebbero che avvenisse), se non fosse che lo spazio laico, secolarizzato, democratico è, a ben vedere, uno spazio vuoto, che ha una dimensione 'valoriale' solo apparente: come ormai tutti percepiscono (alcuni lucidamente, altri confusamente) la libertà 'secolare' è la libertà dell’indifferentismo valoriale e sull’indifferentismo nessuna società può, alla lunga, reggersi. Ritorniamo qui, per quel che concerne il nostro Paese, alle lucide considerazioni del cardinal Bassetti: abbiamo il dovere (non solo come cristiani, ma come uomini di buona volontà) di occupare questi spazi vuoti, per riempirli di senso.
Questo, però, non lo si ottiene con battaglie parlamentari, con manifestazioni di piazza o con provocazioni ideologiche. Lo si ottiene con l’evangelizzazione e con la testimonianza: evangelizzazione e testimonianza che i laici cristiani non devono intendere in senso strettamente pastorale (anche se nessuno proibisce loro di farlo), ma in senso intellettuale ed esperienziale. In senso intellettuale, i cristiani devono operare per ricostruire un’antropologia radicata nell’idea che il bene esiste, che può essere argomentato e che deve sempre avere un primato sul male. In senso esperienziale, essi devono mostrare che, rispetto a una vita affidata all’occasionalità delle emozioni e dei desideri, una vita buona, meditata, vissuta con impegno profondo (e a volte sofferto) suscita rispetto, attiva solidarietà, crea vincoli fraterni e dona, alla fine, l’unica felicità reale che possiamo attenderci in questo mondo. Intese in tal senso, evangelizzazione e testimonianza richiedono anch’esse dure battaglie: ma sono battaglie da combattere esclusivamente con una forza che il mondo secolarizzato sembra aver dimenticato: quella dello spirito.