La disfatta elettorale della sinistra, ha sostenuto qualche giorno fa Adriano Sofri, ha coinciso con quella del cattolicesimo democratico, che era comunemente ritenuto parte essenziale del progetto politico del Pd. Nulla da obiettare, se non che alla disfatta elettorale del cattolicesimo democratico va aggiunta quella di tutti i cattolici impegnati, in un modo o nell’altro, in politica. Sofri aggiunge però un’altra considerazione: sarebbe stato sconfitto anche papa Francesco, i cui inviti a accettare l’immigrazione non solo come fatto politico, ma soprattutto come evento antropologico, dotato di un significato di estremo rilievo per la spiritualità cristiana, sarebbero stati riassorbiti dalla propaganda elettorale di Matteo Salvini e dalle sue plateali esibizioni del rosario. Qui si potrebbe obiettare che il piano su cui si muove, e non da ora, il Papa non è ovviamente quello elettorale e che il suo operato non è misurabile attraverso un mero calcolo di voti. Ma nel discorso di Sofri c’è comunque un’intuizione assolutamente non banale, dato che gli italiani che fanno politica, da decenni e decenni, sono abituati a strumentalizzare elettoralmente gli insegnamenti della Chiesa. Perché questo non sarebbe dovuto avvenire in occasione dell’ultima campagna elettorale?
Lasciamo che a questa domanda rispondano gli scienziati della politica. Per coloro, a cui più che la scienza politica interessa l’antropologia politica, il cuore del problema è naturalmente un altro: quello dell’impegno politico dei cattolici 'oggi', cioè negli anni di papa Francesco. In passato, la questione di come i cattolici italiani dovessero operare all’interno del quadro politico nazionale è stata risolta in modi diversi e non sempre felicissimi: nei primi e lunghi decenni che seguirono all’unità nazionale sembrò doveroso per i cattolici rifiutare ogni impegno pubblico; l’avvento dei Patti Lateranensi sembrò aprire nuove stagioni di operatività, peraltro alterate dal pesante confronto col regime fascista e dai suoi tentativi di imporre agli italiani un sistema valoriale ben poco affine a quello cristiano; crollato il fascismo, grazie ad alcune personalità di eccezione (come non ricordare almeno Sturzo e De Gasperi?) il problema politico dei cattolici sembrò risolto con la felice mediazione che i padri costituenti riuscirono a realizzare, quando scrissero una Costituzione che accoglieva e armonizzava, senza apparenti contraddizioni, princìpi cattolici, liberali e socialisti.
Poi, sono giunti gli anni della crisi, quegli anni contrassegnati dall’emergere delle grandi, nuove questioni di etica pubblica: in primo luogo quelle del divorzio e dell’aborto. Fallito ogni tentativo di mediazione, i cattolici ricorsero allo strumento referendario, con l’unico risultato di poter verificare numericamente la loro realtà di minoranza nel Paese. Più di recente, la mediazione da cui scaturì in Parlamento la legge sulla procreazione assistita si è rivelata all’inizio capace di reggere a una pressione referendaria avversa, ma è stata poi sgretolata dalla Corte Costituzionale. Del tutto superfluo, infine, sottolineare la lontananza dalla Dottrina sociale della Chiesa delle recenti leggi sulle unioni civili e sul 'fine vita'. I tentativi di alcuni candidati alle elezioni del 4 marzo di porre al centro della loro campagna elettorale l’abrogazione, o almeno la riforma, di queste due ultime normative sono naufragati, in parte per la mancata elezione dei loro promotori, in parte per la palese indifferenza dei partiti, che hanno poi, per dir così, 'vinto le elezioni', a compromettersi su questo piano.
E ora? Sembra che siamo giunti al momento di riconoscere un’amara verità (che in passato solo pochi, illuminati intellettuali avevano preconizzato): non appartiene più al momento storico che stiamo vivendo l’idea di poter dare concretezza e operatività non solo a partiti cattolici, ma anche a un ulteriore impegno politico diretto di singoli parlamentari cattolici. Tutto ciò che da sempre tradizionalmente qualifica il 'fare politica' (progettare politiche sociali, costruire alleanze, elaborare disegni di legge, occupare 'posti', selezionare la futura classe dirigente, intervenire incisivamente su casi concreti e controversi, gestire giornali e televisioni, ecc. ecc.) non è più di spettanza 'oggi' dei cattolici in quanto politicamente qualificabili come tali. L’unico compito che oggi può spettare ai cattolici che vogliano agire politicamente (ma è un compito immenso!) è quello di elaborare visioni del mondo, compatibili con le dinamiche sociali del presente.
Cosa significa questo, in concreto? Significa che i cattolici devono 'degiuridicizzare' il loro impegno. Devono operare non sul piano delle norme, ma dei valori. Non devono più sentirsi impegnati a dare ai valori concretezza normativa (questo compito va lasciato ai politici 'di professione'), ma devono agire per dare concretezza valoriale alle norme (è questo, ad esempio, il grande problema che si pone per le nuove leggi sulle convivenze e sul 'fine vita'). È un compito difficilissimo, ma necessario. Ed è, a mio parere, il compito verso il quale papa Francesco, con pazienza e perseveranza, sta orientando la Chiesa.