Cornamuse, sax, violini disseminano i giorni di ritrovate sensazioni. Lasciamoci immergere nel fiume carsico di percezioni rare. La corsa, qualunque essa sia, rallenta, ma gli spot imperversano, gli altoparlanti disseminano occasioni e distrazioni. Nelle ore più belle dell’anno, quando un Bimbo nasce, povero tra i poveri c’è modo, forse, di ritrovare un fremito di umanità. Facciamoci cullare dalle melodie d’un tempo, respiriamo le ore di una volta.
L’attesa impregnata di desideri, i passi attutiti dalla neve e induriti dal freddo: sono il terreno fertile per rivedere i tempi di quando non avevamo nulla. Ma eravamo felici per un mandarino e due noccioline, la serata con nonni e zii a snocciolare la vita in allegria, soprattutto in serenità. Prima della Messa di mezzanotte, il “suc ’d Natal” nel camino o nel “potagè” per prepararci un’accoglienza tenera, dopo. Ora, certo, il mondo è cambiato. Forse in peggio. Tecnologico, veloce, agguerrito, manageriale, ma spesso senz’anima. Perché siamo travolti dal rumore e dai rumori.
«Se non faremo nulla, il silenzio rischia di sparire nei prossimi dieci anni». A lanciare l’allarme è l’ecologo americano Gordon Hempton, che da 35 anni percorre il mondo, microfono alla mano, lavorando in silenzio per cogliere le voci della vita, i suoni del bosco, delle foglie, del vento, dell’uomo, i suoni della vita. Non cerca il “silenzio assoluto”. Non saprebbe che farsene lui e neppure noi. Ma vorremmo tornare a sentire, nelle campagne, il latrare e i segnali dei cani, nelle città i rumori delle case, uditi e colti dalle strade, se le accelerate dei motori di moto e auto lo permettono tra le musichette dei supermercati, i tocchi metallici dei bancomat, delle banche, degli ascensori. Il nostro orecchio percepisce umori distanti anche venti chilometri. Ma quando mai l’abbiamo capito? Per colpa della corsa, del deserto della crisi e i mille casini l’abbiamo dimenticato. Perfino nel cuore della foresta Amazzonica, a duemila chilometri dalla città più vicina, il rombo di un reattore ci può raggiungere.
Ecco perché negli Stati Uniti c’è un santuario del silenzio, l’Olympic National Park nello Stato di Washington: uno degli ultimi luoghi silenziosi della terra segnalato da una pietra rossa, dal 2005 su un tronco di muschio, che simboleggia i pochi centimetri quadrati di silenzio che lui, Hempton, lavora per proteggere. Ascoltare la natura è un’esperienza spirituale.
Quello che rischiamo di perdere nel mondo di oggi è la capacità di ascoltare veramente. Perché non tornare, per poco, a essere cullati dal fruscio del vento tra le foglie, il cinguettio degli uccelli e il rombo della tempesta, i fiocchi di neve che scendono a terra. Ci possiamo provare. Nei suoni di Natale c’è tutta la nostra vita: le parole non dette, i silenzi voluti, gli occhi abbassati. Nei silenzi del Natale ci siamo noi: con i nostri problemi, le tragedie, i drammi, le paure, gli inganni. Ci sono i nostri giorni, vissuti imbronciati, passati saltando da un’auto al tram, al bus, al treno. Con nello zainetto i nostri desideri spenti, i sogni infranti, le tensioni. Il referendum ha “fissato” i nostri vecchi miti e le nostre paure.
Ma il mondo va avanti con o senza di noi. Sarà migliore o peggiore? Ci resta soltanto la speranza: forte e inaffondabile. Anche dopo la strage di Berlino, quella di Aleppo e l’indifferenza del mondo. In fondo ad una capanna, avvolto in stracci (come i rifugiati di oggi), c’è un Bimbo che è l’immagine dell’innocenza ma anche della fragilità umana, lui Dio, noi uomini. Perché in questi “giorni speciali” non lasciamo – per qualche ora al giorno – parlare soltanto lui. Lui sa tutto di noi. Lui può essere una scialuppa di salvataggio in questa società così complessa e difficile. Sentiamolo! Sta parlando. Sottovoce.