Ricordare Falcone e Borsellino non basta. Non bastano le manifestazioni. E nemmeno i convegni. Fare memoria è altro. È fare tesoro di ciò che i due magistrati hanno fatto, il motivo per cui 'cosa nostra' decise di ucciderli in modo eclatante. Ma anche far tesoro di quello che avevano sognato e che in questi anni si è realizzato. Falcone e Borsellino avevano immaginato, e lavorato, a un nuovo modo di contrastare le mafie: nuovi strumenti e norme e organizzazione tra i magistrati e tra le forze dell’ordine.
Ma soprattutto, come disse Borsellino, avevano sperato in «un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità ». Avevano sperato, e si sono impegnati, non solo facendo bene i magistrati, ma cercando di coinvolgere la società civile, a partire dai giovani. Perché, ripeteva Falcone, «gli uomini passano, le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini». Così è stato.
Migliaia di gambe hanno continuato a camminare sulla strada aperta e tracciata dai due magistrati. E questa va detto, va scritto, va ripetuto e, se serve, anche gridato. Tanto è cambiato da quel terribile 1992, da quelle due terrificanti esplosioni. Terrificanti, ma non definitive. Anche qui la morte non ha avuto l’ultima parola. Il progetto terrorista e stragista del vertice di 'cosa nostra' per vendicarsi e per tentare di frenare il contrasto antimafia sempre più efficace, è fallito. Tutti i responsabili (tranne Matteo Messina Denaro) sono finiti in carcere con pene lunghe e pesanti e, cosa fondamentale, quell’arroganza sanguinosa ha innescato una profonda reazione positiva.
Sono nate le prima leggi antiusura e antiracket, è stata approvata la legge che prevede l’uso a fini sociali dei beni confiscati, si sono perfezionate le norme sui collaboratori e i testimoni di giustizia, si sono finalmente concretizzate la Procura nazionale antimafia e la Dia, e il carcere non è più un colabrodo dal quale i boss continuano a comandare.
Gli imprenditori hanno cominciato a capire che pagare il pizzo vuol dire perdere la propria libertà. E i familiari delle vittime innocenti di mafia, che i clan pensavano di aver zittito, hanno invece trasformato il dolore e la memoria dei propri cari, in impegno. Fatti concreti e storie di rinascita. Questo dobbiamo raccontare di questi trent’anni, tenendo sempre gli occhi aperti, soprattutto sulle mafie imprenditrici, soprattutto sugli insediamenti criminali in colletto bianco al Nord, oltre che su cinici affari per così dire tradizionali come quello della droga (davvero non se ne parla quasi più) o nuovi e seminuovi come quelli dell’azzardo, delle energie rinnovabili, delle criptovalute. Meno mafie del boom boom e più mafie del clic clic.
Ma occhi aperti ancora e sempre sulla corruzione della macchina pubblica e sugli appalti. Ora si punta ai fondi del Pnrr, della ricostruzione post-pandemia, contando anche sul consenso ottenuto col 'welfare mafioso' attuato prima di quello statale in diversi contesti del Bel Paese. Tutto ciò impone la massima attenzione e che la politica torni a mettere la lotta contro mafia tra le priorità della nostra democrazia. Eppure non riconoscere, non rivendicare, non raccontare i tanti cambiamenti positivi avvenuti in questi trent’anni, sarebbe un’offesa verso chi si è speso con convinzione, a cominciare dai giovani delle cooperative che gestiscono con passione civica i beni confiscati, riempiendoli di nuova vita e di vero lavoro.
Storie che rincuorano e spronano, nonostante non manchino difficoltà, ritardi e omissioni. Storie che da raccontare, perché continuano a farsi e a scriversi. E invece, seguendo logori copioni, si arriva ad attaccarle, confondendo i furbi (che ci sono ovunque) e chi ogni giorno si sporca le mani. E lo fa pure per noi. Anche Falcone e Borsellino dovettero subire il 'fuoco amico' di chi si credeva o dichiarava più antimafioso di loro. Per questo non riconoscere il cambiamento, la rinascita di questi trent’anni sarebbe ancor di più un’offesa a Falcone e Borsellino. Sarebbe dire loro che sono morti invano, e che invano si sono sacrificati i tanti che li hanno preceduti e seguiti.
Le mafie, oggi come ieri, sanno come approfittare di esitazioni, incomprensioni, volontarie o involontarie complicità. Fare memoria è anche guardare con soddisfazione al cammino percorso, per poter restare sulla strada che ci porterà finalmente a dire 'c’era una volta la mafia'.