In un mondo in balìa delle guerre, mancava solo il “boicottaggio” ai Mondiali di calcio. Questi campionati del mondo – nell’inedita veste invernale, cosa mai accaduta prima nella storia quasi secolare della rassegna iridata (cominciata nell’estate uruguaiana del 1930) – non piacciono. A non piacere è il sistema Qatar, un Paese grande quanto l’Abruzzo ma dal cuore più piccolo, purtroppo oggi ancora alieno dal pieno rispetto e dalla difesa totale dei diritti umani. Perciò il dissenso cresce, proprio in seno ai protagonisti dei Mondiali, a coloro che dovranno affrontare il viaggio nel deserto del football. Il primo segnale di “boicottaggio”, per ora parziale, l’hanno lanciato i danesi. All’appello della Federcalcio di Copenaghen si sono subito allineati i nazionali del ct Kasper Hjulmand, che hanno deciso unanimemente di affrontare l’avventura mondiale senza le famiglie al seguito. «Non vogliamo contribuire ai profitti del Qatar e pertanto abbiamo ridotto il più possibile le nostre attività di viaggio».
E il dissenso danese non si ferma qui. Lo sponsor tecnico della nazionale ha presentato le tre maglie ufficiali dei Mondiali dove saranno stampati una serie di messaggi a favore del rispetto dei diritti umani. La terza maglia è addirittura nera: listata a lutto per le troppe “morti bianche” dei cantieri degli stadi e gli impianti della kermesse qatariota. Secondo fonti di Amnesty International e Human Rights Watch, almeno 6.500 vite in Qatar sono state sacrificate sull’ara del calcio mondiale. Per questo, alla protesta della Danimarca si unisce anche quella di Parigi, città in cui la squadra del Paris Saint Germain è di proprietà del magnate qatariota Nasser al-Khelaïfi. L’emiro che ha portato Messi a Parigi e che ha trattenuto Mbappé nel suo squadrone pagandolo a peso d’oro nero, non è mai stato gradito ai francesi, così come non è molto tollerata la politica “asfaltista” del suo Paese. Pertanto la mobilitazione dalla capitale è arrivata anche in altre sei città della Francia – Marsiglia, Bordeaux, Nancy, Reims, Strasburgo e Lille annunciano che durante il periodo dei Mondiali (20 novembre-18 dicembre), per solidarietà alle vittime in Qatar e al suo popolo vessato anche da “leggi disumane”, non verranno organizzati i classici eventi pubblici. Niente “fan zone”, niente tradizionali maxischermi sulle piazze di Francia. «Questa competizione si è gradualmente trasformata in un disastro umano e ambientale, incompatibile con i valori che vogliamo vedere trasmessi attraverso lo sport e in particolare il calcio », tuona il sindaco di Marsiglia, Benoît Payan. A Strasburgo, capitale europea e sede della Corte europea dei diritti umani, la sindaca ecologista Jeanne Barseghian rincara: « Per noi è impossibile non ascoltare i numerosi rapporti delle Ong che denunciano gli abusi e lo sfruttamento dei lavoratori immigrati. Migliaia di lavoratori stranieri sono morti nei cantieri, è insopportabile ». La Federcalcio francese gioca in difesa del Qatar, convinta che la «Coppa del Mondo abbia comunque portato progressi nel Paese. Anche se la realtà sul campo non è perfetta, questo progresso è innegabile e positivo». In effetti, va registrato che il governo di Doha è intervenuto sulla regolamentazione della kafala applicata al lavoro (l’ingresso di persone straniere garantito esclusivamente su base sponsoriale da datori di lavoro), ma lo ha fatto da settembre 2020 e quindi solo pochi operai arrivati dall’Asia e dall’Africa, hanno potuto beneficiarne. Perciò, per l’opinione pubblica francese la difesa della federazione appare assai fragile, come del resto forse anche l’alzata di scudi del calcio internazionale arriva oltre la zona Cesarini. Il Qatar ha ottenuto i Mondiali 12 anni fa, quindi, dossier alla mano e con tutti gli allarmi lanciati, c’era tutto il tempo per arginare questa deriva da “febbre a 90”. Meglio tardi che mai? Può darsi, ma il calcio d’inizio dei Mondiali si avvicina, mentre la passione, l’entusiasmo popolare e la pace, anche nel calcio, pare allontanarsi. © RIPRODUZIONE RISERVATA