Qualche passo avanti, ma i toni trionfalistici ascoltati ieri paiono onestamente fuori luogo. Del nuovo Patto europeo che riforma i delicati temi di migrazione e asilo si salva il metodo - come si dice, abbiamo un accordo e varrà per tutti i 27 membri -, ma sui contenuti bisognerà lavorare ancora e vigilare. Sicuramente, si è sbloccata ieri una situazione che ha paralizzato la Ue da anni, ma è altrettanto vero che restano i muri alle frontiere esterne e esternalizzate e sulla questione del rispetto dei diritti umani dei profughi approdati in Europa sono innegabili luci e ombre. E si conferma la preoccupante tendenza all'arretramento nel riconoscimento del diritto di asilo segnalata da diversi giuristi e nell'ultimo rapporto sui rifugiati della Fondazione Migrantes. Cinque i pilastri dell’accordo provvisorio, che dovrà essere adottato dal Parlamento e dal Consiglio prima di diventare legge in primavera e venire recepito dagli Stati. Ma il punto chiave era il superamento del discusso regolamento di Dublino, che impone ai Paesi di primo approdo, quelli mediterranei, di registrare e prendersi cura dei migranti creando così uno sbilanciamento delle domande di asilo e generando flussi di movimenti secondari alle frontiere. La norma non viene abolita, insomma Italia, Grecia e Spagna dovran-no continuare a organizzare la prima accoglienza. Però viene mitigata sulla carta da una normativa che prevede un nuovo meccanismo di “solidarietà” obbligatoria quando la pressione migratoria diventa forte anche per l’azione ostile di Paesi terzi, lasciando ai membri la scelta tra ricollocare i richiedenti asilo nel loro territorio o versare contributi calcolati sulla popolazione e sul Pil. Un piccolo passo avanti non risolutivo, come rileva Caritas Europa, con una critica non ideologica che definisce quella europea solidarietà «a la carte» che non attenuerà la «crescente responsabilità» che ricade sugli Stati europei di confine e trasferisce obblighi a Paesi terzi «esponendo i migranti a violazioni dei diritti umani». Si rischia insomma «un aumento delle detenzioni e un abbassamento degli standard di accoglienza » che potrebbero penalizzare i più deboli e «la limitazione dell’accesso all’asilo e dei diritti di chi cerca protezione». Il riferimento è alle nuove norme che prevedono finalmente una procedura comune in tutta la Ue per concedere e revocare la protezione internazionale. Ma a fronte della buona intenzione di velocizzare il tempo di trattamento delle richieste di asilo a sei mesi per una prima decisione, si riduce quello per le richieste manifestamente infondate o inammissibili e alle frontiere. Punto da chiarire perché non si capisce in quali centri verranno ospitati i soggetti deboli e le famiglie e, nonostante le garanzie assicurate, a quali restrizioni saranno sottoposti. Altra obiezione, il diritto internazionale non contempla la figura dei profughi climatici e si rischia che la Ue così sensibile ai temi ambientali finisca con il rimpatriarne ipocritamente le vittime. Né possiamo nascondere le perplessità per le ricadute in Italia della tempistica accelerata, data la cronica mancanza di personale e di fondi. Difficile anche credere che all’improvviso in 12 settimane i diniegati vengano rimpatriati dal Belpaese. Richiederà poi un monitoraggio costante, previsto dal Patto, anche la decisione di sospendere alcune procedure umanitarie e di asilo in momenti di crisi e il ricorso ai Paesi terzi sicuri sul non esaltante modello tunisino. Non è invece da bocciare, visto quanto sta accadendo negli ultimi mesi alle frontiere dove molti minori non vengono riconosciuti come tali, la riforma della banca dati biometrica e l’introduzione di procedure più stringenti per la raccolta di informazioni su nazionalità ed età e anche lo screening facciale dai sei anni in su, che da una parte farà discutere, ma dall’altra può evitare abusi e contribuire a prevenire la sparizione nascosta di migliaia di minori non accompagnati dopo lo sbarco o il passaggio delle frontiere secondarie. La logica che sottende l'accordo è prevalentemente difensiva, davanti a un aumento globale inarrestabile del popolo in mobilità che, però, nella sua maggioranza non ha la Ue come meta. I governi sono soddisfatti, tranne Budapest, ma ha vinto ancora la paura dei migranti almeno finché la dura legge della demografia non ci farà cambiare idea. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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