«Siamo fatti della materia dei sogni; e la nostra breve vita è racchiusa nello spazio e nel tempo d’un sogno». Se il calcio fosse davvero un grande spettacolo, questo a Claudio Ranieri avrebbe ricordato Shakespeare. Non Will ma Craig, il suo vice omonimo del Bardo, prima di guidare l’allenamento delle Volpi, ieri scintillanti oggi spelacchiate, in attesa di un coach dal palmarès ingombrante, tipo Roberto Mancini.
Esonerato, licenziato, cacciato. Da campione d’Inghilterra, fresco eletto miglior allenatore del pianeta pallonaro. Ieri primo nei calci dati, oggi nel calcione preso. Evanescente è la vita, ammonisce Prospero nella Tempesta. Anche sulla panchina. Il 2 maggio scorso trionfi, compiendo la più inusitata impresa nella storia del calcio: vincere la Premiership a bordo di un canotto strapazzando incrociatori come il Chelsea, i due Manchester, il Liverpool, l’Arsenal... Gli allibratori, a inizio campionato, davano la vittoria del Leicester 5000 a 1, come dire: impossibile. E appena otto mesi dopo il benservito.
Ranieri, ormai al tramonto di una carriera onesta ma senza acuti, realizzava il sogno scatenando la tempesta in cui naufragavano gli squadroni. Mutava i brocchi in purosangue e raddrizzava i piedi storti. Ma da agosto la musica cambiava. I purosangue arrancavano, i piedi s’incurvavano. Percorso netto in Champions ma sull’orlo del baratro in Premiership. Fino all’amara decisione. Riconoscenza... Beato chi non se ne aspetta alcuna, mai. Il presidente indonesiano del Leicester dal cognome assai poco scespiriano, Vichai Srivaddhanaprabha, ieri chiedeva «rispetto» per la decisione sofferta. Capirai. I colleghi esprimevano solidarietà, volgendo chi al serio (Mourinho, Manchester Utd: «Se l’anno scorso non avesse vinto il campionato e fosse arrivato dodicesimo, ora sarebbe ancora al suo posto») chi al faceto ( Jurgen Klopp, Liverpool: «Ci sono state alcune decisioni strane tra il 2016 e il 2017: Brexit, Trump e Ranieri»).
E lui? A testa alta ieri commentava: «Il mio sogno è morto, ma nessuno potrà mai cancellare quello che il Leicester e io abbiamo raggiunto insieme». E forse, facendo sue altre parole di Prospero, meno citate, avrà meditato in silenzio: «Ho l’animo alquanto turbato, il mio vecchio cervello è un po’ sconvolto». Riconoscenza zero, mister. Ma che importa? La storia, che «dà torto e dà ragione», ti ha già eretto un monumento. Dal cui piedistallo nessuno può cacciarti.