Laurent Ani Guibahi è un nome come tanti altri. La sua vita si è fermata a 14 anni, lo scorso 7 gennaio, il suo corpo è stato ritrovato nel vano di un carrello d’aereo partito dalla Costa D’Avorio e atterrato a Parigi.
Ani era riuscito a superare la sicurezza e a salire sull’aereo diretto in Europa mentre era in fase di rullaggio. Il ragazzino non aveva calcolato le temperature disumane a cui giunge un aereo che viaggia in alta quota, tra i 9.000 e i 10.000 metri, scendendo sino ai 50 gradi sotto zero. Ani è morto assiderato, lo hanno ritrovato aggrappato al carrello dell’aereo, addosso una magliettina, con sé uno zainetto, nient’altro. Sui motivi che lo hanno portato a rischiare così dissennatamente la sua vita si possono fare mille ipotesi, tutte giuste, tutte inutili. Ani è uno dei tanti africani attratti dal sogno di una nuova vita in terra d’Europa, in molti sognano di diventare calciatori, proprio come lui, altri sperano semplicemente di affrancarsi dalla povertà, per sempre.
A dispetto di tanti suoi conterranei, Ani non ha preso un barcone, con la semplicità dei bambini ha visto un aereo è ha pensato che quello fosse il suo destino. Dal suo punto di vista, infantile, bastava ben poco, bastava correre verso l’aereo, infilarsi dentro le sue budella. Il più era fatto. Ani sentiva che dall’altra parte del cielo avrebbe realizzato il suo sogno, questo pensava mentre volava, sempre più infreddolito, sempre più indifeso. Il suo nome è un punto luminoso nella costellazione tragica dei morti in questi anni di migrazioni, un nome e una fotografia, questo resta di lui.
A confronto con tanti altri il suo destino non è stato dei peggiori, pensiamo a quanti giacciono sul fondo del Mediterraneo senza identità certa, morti senza storia, senza traccia da ricordare. Dispersi di una guerra esplosa in silenzio. Ma qualcosa per Ani possiamo farla. In questi giorni avrebbe compiuto 15 anni. Tutta Europa, almeno quella che crede nei valori indiscutibili dell’umanità, sta chiedendo alle autorità francesi di permettere alla salma del bambino di tornare in Africa.
Dal suo ritrovamento, infatti, riposa dentro una cella frigorifera, in attesa che vengano risolte le mille beghe burocratiche del caso. Permettiamo ad Ani di tornare in Africa, dalla sua famiglia, riconosciamo a lui quello che non possiamo riconoscere a migliaia di altri. La dignità di una storia, di un nome da onorare, un viso da imprimere nei ricordi. Perché questo si deve a ogni essere umano nato sulla faccia della terra. Facciamolo per Ani, per i suoi sogni, facciamogli sentire di che pasta è fatta l’umanità che non dimentica la sua radice e la sua essenza.