Serve uno sviluppo migliore. No a precariato e solitudine
venerdì 16 giugno 2017

Come l’Eurostat mercoledì, anche l’Istat con il suo ultimo rapporto, presentato nei giorni scorsi, ha proposto dati positivi, anche se debolmente, sul 'mercato del lavoro'.

Il che è di conforto. Ma molte questioni attendono di essere affrontate con maggiore decisione per tentare di rendere la tendenza più solida e qualitativamente sostenibile. Innanzitutto le disuguaglianze sociali. I dati Istat hanno confermato la scomparsa delle classi sociali tradizionali, la disarticolazione della società sulla base di diversi posizionamenti legati al reddito e ai consumi, l’accentuarsi delle disparità e la debolezza delle fasce di età più giovani. Il procedere della ripresa economica, benché debole soprattutto in Italia, e l’aumento dell’occupazione sono infatti accompagnati dall’aumento del precariato – soprattutto dopo la fine degli incentivi alle assunzioni del 2015 e 2016 –, e dalle crescenti difficoltà economiche delle famiglie giovani, dei giovanissimi, delle donne e degli stranieri.

Per quanto riguarda il contesto più generale, poi, non si può non cogliere il collegamento con lo stallo cronico della natalità, l’invecchiamento della popolazione, l’aumento della solitudine reale e percepita e delle persone che vivono sole, quello delle forme di dipendenza, nonché i fenomeni di estraniamento sociale e di perdita di fiducia nella vita. Per cui viene da considerare che dietro agli aspetti quantitativi si celano evidentemente altre importanti dinamiche qualitativamente significative, e che sono spesso all'origine di alcune contraddizioni – ad esempio tra ripresa economica e disagio sociale e lavorativo. Ancora, troppo poco si analizzano alcuni fenomeni solo apparentemente marginali. Ad esempio il lavoro irregolare e nero, per nulla in calo: un tipo di occupazione a volte del tutto nascosta, in altri casi mascherata da precariato, con cui molti giovani, molte donne e molti stranieri sono costretti a convivere; un’occupazione che permette di sopravvivere, ma che lede la fiducia nelle regole della società. O l’impegno nel volontariato profuso da moltissime donne, ma anche da moltissimi giovani (almeno tanti quanti i Neet secondo le stime ufficiali), che costituisce per certi versi un’occupazione surrettizia, ma per altri un aiuto importante per i soggetti più deboli (poveri, malati, anziani soli, ecc.) e una sorta di welfare autogestito.

O ancora la realtà dell’autoimprenditorialità, soprattutto giovanile, che pur tra tante difficoltà continua a svilupparsi soprattutto tra i giovani stranieri. Questi ed altri elementi, che sarebbe possibile citare, completano il quadro generale del lavoro, si collegano ai fenomeni di solitudine e individualismo, e al tempo stesso spiegano la relativa tenuta del tessuto sociale e segnalano la presenza di fermenti di vitalità che andrebbero portati alla luce con maggiore decisione. Per quanto riguarda gli orientamenti e le prospettive future, il composito quadro sociale che deriva da una analisi più articolata della realtà, rimanda alla necessità di attuare strategie di sviluppo più attente, che si pongano il problema della defiscalizzazione delle attività lavorative devastate dal lavoro nero ma anche la messa in campo di maggiori investimenti e supporti tecnici per le nuove idee imprenditoriali; il rafforzamento delle azioni di lotta allo sfruttamento, ma anche una maggiore attenzione per la qualità di alcuni processi sociali innovativi; la scarsa partecipazione dei giovani alla formazione scolastica e universitaria superiore (che costituisce uno dei fattori alla base dell’alta incidenza della inattività giovanile in Italia), ma anche una migliore distribuzione dei carichi lavorativi, oggi fortemente squilibrati (è noto che in Italia chi lavora, lavora di più che in altri contesti).

Si tratta di tematiche decisamente complesse, ed è evidente che solo interconnettendo diversi piani di analisi – quantitativi e qualitativi, economici e sociali, culturali e produttivi –, e avviando una revisione in senso globale e integrato delle diverse politiche accanto a un lavoro paziente di apertura e consultazione con le rappresentanze di tante 'minoranze dimenticate', si potrà tentare di rendere concreta l’idea di una innovazione umanisticamente valida e di una nuova economia sostenibile e circolare, centrata cioè sulla valorizzazione di tutte le forze vitali in collegamento tra loro.

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