(Ansa)
Non mi piace si formino squadre per il Papa o contro il Papa, ma succede spesso anche in altre realtà che non sono la Chiesa. Siamo fatti così: abbiamo bisogno di un’appartenenza per rafforzare la nostra identità. L’importante, dico io, è che l’appartenenza non soffochi l’identità: cioè io dovrei sapere chi sono non solo sapendo a quale squadra appartengo. È per questo che mi trovo a disagio davanti a domande come: “Sei pro o contro papa Francesco?". Papa Francesco è arrivato nella mia vita che avevo più di 50 anni ed ero sacerdote da più di 20. Avevo già la mia identità di uomo e prete. Il mio amore per il Papa – ora Francesco – non mi “identifica” ma sicuramente mi cambia. E non perché cambio casacca ed entro nella squadra “papa Francesco” ma perché amo il Papa, amo papa Francesco, e chi ama cambia. Cambia perché la sua vita si arricchisce della vita dell’altro. In cosa mi ha cambiato e arricchito papa Francesco? Non ho un elenco preciso e dettagliato perché l’amore, gli affetti, la stima, il ruolo di padre e pietra, non hanno un elenco di adempimenti o di accadimenti per misurarne il peso e il valore.
Però quando mi fanno domande così mi viene in mente soprattutto quando ha detto che il pastore deve puzzare di pecora. La puzza ti rimane addosso se sei nella vicinanza, nell’unione, nel prendere addosso e dentro di te l’altro. In un confessionale può arrivarti la puzza dell’altro. E allora, quella puzza, puoi riconoscerla, codificarla e tentare di neutralizzarla. Ma quando fai così quello non è puzzare: è sentire la puzza. È diverso. Un pastore dorme e mangia con le pecore. Le aiuta a morire, a nascere e a partorire. Non c’è nulla della pecora che non sia suo. Io non sono della squadra di papa Francesco ma devo dire che da lui sto soprattutto imparando questo: a non raccontare l’amore di Cristo, ma a essere Cristo.
A capire che annunciare il Vangelo è farsi Vangelo e questa non è una cosa a orario, con uno schema, definizioni e conclusioni incorporate. Ho imparato che non esistono gli abortisti, i separati, i divorziati, i conviventi, i bugiardi, i calunniatori o i truffatori: esistiamo noi, le singole persone, e facciamo peccati che se provi a metterli dentro i capitoli dei libri vedi che non ci stanno. E allora sono io che devo entrare nei capitoli delle loro vite, e devo farlo da peccatore prima che da prete. Spesso chi ha dato la vita a Dio è pronto a dare la vita agli altri però vorrebbe farlo senza morire, e non si può. Le parole di papa Francesco contro la mondanità nel clero e contro la «zitellagine» di certe vite senza marito e senza moglie, mi risuonano e mi feriscono però sono ferite che non mi ammazzano. Il Papa dice che a un bravo prete, per mantenersi sereni con tanti impegni, basta pregare e dormire bene. E io sono d’accordo perché me lo diceva anche mia nonna: il sonno è salute. Sì, tra il mio amore per Francesco e quello per mia nonna, c’è continuità. E il Papa, sono sicuro, ne è contento.