Green New Deal? Una buona notizia, si direbbe: l’apparato europeo si impegna a fare dell’Europa un esempio globale, a rifondare l’economia del Vecchio Continente per renderla protettiva verso il clima e l’ambiente, e con passi concreti, ipotizzando ingenti risorse, anche se ancora da radunare. Esiste però un rischio, l’illusione che un nuovo patto verde possa basarsi ed esaurirsi in un ventaglio di innovazioni tecnocratiche. Strumenti fiscali, incentivi industriali, miglioramenti tecnologici – e via dicendo – sono tutti fattori importanti. Se però si spera che da soli rivoltino come un calzino un modo secolare di fare economia, non c’è budget al mondo che sia sufficiente.
Diventa invece raggiungibile un continente – e un pianeta – che genera ricchezza mentre ricostruisce la salute del proprio ambiente se fondiamo il Green Deal su un moltiplicatore delle risorse tanto efficace quanto sorprendente, e inscritto nel funzionamento dell’ecosfera: la giustizia può infatti creare un sistema economico strutturalmente proteso a tutelare l’ambiente. Se creiamo giustizia i pannelli solari e le auto elettriche verranno di conseguenza; gli stessi pannelli imposti a una società (ad esempio con sgravi fiscali che beneficiano solo i capienti) e a un mercato indifferenti alla dignità umana rischiano invece di creare una paralisi.
Nessuna tecnologia, nessuna riorganizzazione pianificata dall’alto possono funzionare – guardando alla dimensione interna del patto verde europeo – se non si fondano su un’evoluzione dei valori ove diventa chiaro che è meglio consumare meno ma scegliendo prodotti durevoli e di buona qualità. Se ciò accadesse, ne deriverebbe un sistema economico che cresce generando impiego dignitoso e qualificato, educazione, ricerca, consapevolezza e libertà perché la qualità non si ottiene coi precariati, i caporalati e ogni altra degradazione del contributo dignitoso del lavoratore. Ciò a sua volta redistribuisce il reddito e il riconoscimento sociale in maniera più giusta e si realizza così il vero motore di una propensione strutturale dei nostri popoli a occuparsi della salute del territorio: si capisce che genera benessere. Vero e per tutti. Ma che non ci può essere un vero Green Deal senza giustizia risulta ancora più chiaro se proiettiamo lo sguardo oltre i confini europei, ai nostri vicini più fragili ed esposti agli impatti della crisi climatica. Un altro rischio di far naufragare il Green Deal in un mare di buone intenzioni – il diavolo sta nei dettagli – è nella retorica di una 'Europa esemplare', capofila, che mostra il cammino. In quest’ottica potremmo pensare che dobbiamo dedicare le risorse che abbiamo solo a noi stessi – vogliamo o no essere di esempio a tutti? – dimenticando che la giustizia è un moltiplicatore di efficacia, non un costo tanto etico quanto improduttivo.
Se escludiamo i nostri vicini meridionali e orientali dal miglioramento che cerchiamo al nostro interno, se ci dimentichiamo che sono esposti a impatti climatici rapidi e devastanti, non realizzeremo il New Deal neanche all’interno dell’Europa. Quella parte delle nostre risorse che non abbiamo voluto dedicare alla loro integrazione la perderemo all’ennesima potenza sotto forma di costi indotti dalla loro destabilizzazione climatica. Economie depresse, conflittualità, insicurezza, migrazioni forzate intorno all’Europa, rischiano di sottrarre talmente tanti fondi che forse non ne rimarrà più molto per il nostro obiettivo di diventare l’esempio mondiale.
Al contrario, una corona di economie che integriamo in un’ondata di sviluppo sostenibile e condiviso – una scelta di giustizia – genererà maggiori risorse anche per i nostri obiettivi interni, mentre diminuiranno i costi importati causati dalla fragilità degli altri. Stiamo distruggendo il sistema Terra perché non ne abbiamo compreso la regola fondamentale: ci inonda di generosità se cerchiamo la giustizia. È evidente, ma noi stessi, e gli apparati tecno-politici lo capiamo?