Caro direttore,
conclusa la maratona dell’elezione presidenziale, sarebbe auspicabile che i nostri legislatori rivolgessero maggiore attenzione ai temi della politica estera e di sicurezza. La scorsa settimana 51 membri del Congresso hanno chiesto con una lettera al presidente Biden di revocare la dottrina nucleare di Donald Trump e di adottare misure che riducano la dipendenza degli Stati Uniti dall’arma nucleare. I parlamentari si sono dovuti mobilitare nel pieno della crisi ucraina poiché l’amministrazione Biden si trova contemporaneamente impegnata nel processo di riesame della strategia nucleare degli Stati Uniti. Si tratta del Npr ( Nuclear Posture Review) cui procede ogni nuova Amministrazione all’inizio del proprio mandato. Il processo questa volta è particolarmente complesso poiché si tratta di riparare i guasti dell’amministrazione Trump che aveva fatto piazza pulita di alcuni dei principali accordi su cui poggiava la stabilità nucleare.
Basti pensare all’intesa Jcpoa che aveva congelato il programma nucleare iraniano e che Trump aveva liquidato assieme al trattato Inf sulla proibizione dei cosiddetti 'euromissili'. Analoga sorte avrebbe avuto anche il Trattato strategico con la Russia, New Start, che sarebbe stato lasciato scadere se Biden non lo avesse recuperato in extremis nei primissimi giorni del suo mandato. Il processo di revisione Npr è affidato in prima battuta al Pentagono, ma sarà la Casa Bianca ad avere l’ultima parola. Pur non essendo questo il momento più appropriato per procedere serenamente a una revisione così importante, i parlamentari esprimono tra le righe l’auspicio che il Presidente si distacchi più nettamente dalla dottrina del predecessore: un mantenimento dello status quo che non riducesse «in maniera misurabile il ruolo delle armi nucleari nel quadro della strategia di sicurezza nazionale» rischierebbe di rilanciare una corsa agli armamenti soprattutto con la Cina e la Russia.
In campagna elettorale, Biden aveva proposto continuità con la linea di Obama, imperniata sul concetto della riduzione della dipendenza degli Stati Uniti dall’arma nucleare, come uno dei cardini del suo programma. Obama avrebbe voluto effettuare passi più decisivi, ma la perdita della maggioranza al Senato e il trauma dell’occupazione manu militari della Crimea da parte della Russia non gli consentirono di realizzare appieno il suo progetto. Tra gli obiettivi figurava un avvicinamento americano al concetto del Non Primo Uso dell’arma nucleare o a quello – ritenuto equivalente – del sole purpose (ossia della deterrenza come unico scopo dell’arma nucleare).
È questo uno dei temi centrali ripresi dai 51 parlamentari americani nel loro messaggio a Biden, assieme anche all’invito a ridurre alcune spese militari e a proseguire con decisione i negoziati di stabilità strategica avviati con la Russia e con la Cina. Il tema del Non Primo Uso, rilanciato di recente anche dagli scienziati di Chicago dell’Orologio dell’Apocalisse, torna alla ribalta nell’attuale situazione di confronto in Ucraina tra due forze dotate di armi nucleari. La pericolosità del braccio di ferro non è paragonabile a qualsiasi altro tipo di crisi poiché è in gioco la stessa sopravvivenza dell’umanità. Devono valere in questo caso regole diverse. Se le potenze nucleari in confronto si attenessero almeno al principio del Non Primo Uso, si impedirebbe lo scoppio di una guerra nucleare o quanto meno si lascerebbe più spazio temporale per evitare il ricorso all’arma atomica.
È questo un tema che riguarda anche l’Italia e l’Europa poiché alla revisione della dottrina degli Usa seguirà quella del Concetto Strategico della Nato. Ancora prima dell’appello degli scienziati di Chicago, l’Unione degli scienziati italiani per il disarmo (Uspid) aveva sollecitato le Commissioni competenti del nostro Parlamento ad affrontare la questione del Non Primo Uso. Unica risposta e unico seguito sono arrivati dalla Commissione Esteri della Camera. Il Governo dovrà affrontare tale revisione in occasione del vertice della Nato che si terrà a Madrid nel giugno prossimo. In vista di tale incontro, occorrerà confrontarsi con le due Camere e concertarsi con quei Paesi dell’Unione Europea che sono anche membri della Nato.
Ambasciatore, già presidente della Conferenza del disarmo a Ginevra