Che le relazioni militari e di sicurezza fra Egitto e Francia siano strettissime è cosa nota: Parigi da anni fa asse con il Cairo su una pluralità di questioni regionali, anche al fine di rafforzare i legami economici e sostenere le vendite di armi a quel Paese. E altrettanto risaputa è la tendenza francese di giocare "ai limiti dei regolamenti" nel bacino del Mediterraneo, sostenendo senza troppe remore i propri alleati o le proprie pedine, come nel caso del generale Khalifa Haftar in Libia, su cui Francia e Egitto hanno scommesso in questi anni, finendo per minare lo sforzo di stabilizzazione promosso dalle Nazioni Unite.
Ora, a causa di una serie di documenti francesi riservati trafugati, questa relazione speciale si fa più inquietante, dato che l’intelligence francese in questi anni avrebbe attivamente aiutato le forze aeree egiziane a colpire non solo gruppi di terroristi che cercavano di penetrare nel Paese dalle porose frontiere con la Libia, ma anche persone coinvolte - o accusate di essere coinvolte - nel traffico di esseri umani e/o nel contrabbando. Questo avrebbe provocato la morte di civili, colpiti illegalmente. Vi è anche il sospetto che alcune delle tecnologie di sicurezza date dai francesi al governo del Cairo siano servite per la repressione del dissenso e per violazioni diffuse dei diritti umani dei cittadini di quel Paese. E altre polemiche sono venute dal recente viaggio di Macron nella penisola araba, che ha fruttato importanti commesse militari.
L’attivismo di Parigi in Medio Oriente non deve però sorprendere: dallo scoppio delle rivolte arabe del 2011-12, complici il crescente disinteresse statunitense verso il Mediterraneo e il fallimento di ogni progetto di politica estera comune dell’Unione Europea, Parigi ha accentuato il perseguimento dei propri interessi nazionali con modalità estremamente spregiudicate, e che si sono molto spesso tradotte in atteggiamenti di aperta rivalità con il nostro Paese.
Queste nuove ombre non giovano certo all’immagine della Francia e che turbano particolarmente noi italiani, non solo per la ferita ancora aperta del brutale assassinio di Giulio Regeni da parte dei servizi segreti egiziani e per il caso di Patrick Zaki (ora, forse, finalmente avviato a una giusta conclusione), ma anche per la recente firma a Roma del cosiddetto Trattato del Quirinale, un accordo di largo respiro fra Roma e Parigi, che dovrebbe rafforzare la cooperazione politica, economica, industriale e di sicurezza. Francia e Germania hanno già legami di questo tipo da molti decenni (il famoso Trattato dell’Eliseo del 1963, da poco ampliato e rinnovato) e, secondo gli auspici, la firma di questa nuova carta permetterebbe di raggiungere due obbiettivi principali. Da un lato riequilibrare il peso preminente della Germania in Europa, che spesso fa blocco con i "Paesi del Nord" per imporre decisioni sgradite ai membri del Sud; dall’altro per ridurre, se non per chiudere, una stagione di rapporti tesi, di dispetti e di incomprensioni fra le due nazioni.
Qualcuno teme che il Trattato del Quirinale finisca per aprire ancor più la strada verso una subalternità industriale, politica e di sicurezza del nostro Paese. Un rischio che in effetti esiste, ma che dipende più dai nostri limiti, dal nostro tendenziale autolesionismo politico che da altro. E del resto, in un mondo geopoliticamente complesso come l’attuale, occorre una lucidità d’analisi che non concede spazio ai fumi della retorica. Essere alleati non significa essere sempre e solo grandi amici: Italia e Francia continueranno a essere rivali su tante questioni. Ma ciò non implica allentare i legami, anzi.
La storica tendenza francese a mostrare un grado fastidioso di tracotanza politica ed economico-militare, dentro e fuori i confini dell’Europa, si rafforza quando la Francia viene lasciata ad agire da sola, non allorché si cerchi di trovare una bussola comune sulle tante questioni aperte. E lavorare con Parigi, triangolando con la Germania, per far lievitare una visione comune europea è la risposta che l’Italia deve darsi. Senza dimenticare i propri interessi nazionali, ma capendo che quando Parigi e Roma si sgambettano a vicenda, come successo in questi anni in Libia, il risultato è che entrambi perdono. E chissà, forse proprio da questo Trattato potrà iniziare un cammino per rilanciare una politica europea verso il Mediterraneo che sia più propositiva, inclusiva e collegiale. Per farlo c’è bisogno tanto di noi che dei cugini d’Oltralpe.