Se all'odio in rete si sommano discriminazioni istituzionali
sabato 12 giugno 2021

Gentile direttore,
finalmente con gradualità stiamo ritornando alla possibilità di vivere una vita piena, che significa soprattutto riprendere la nostra umanità e i nostri legami sociali. Le restrizioni vissute per così tanti mesi hanno messo a dura prova le nostre esistenze, riempiendole di dubbi, di frustrazioni, di insicurezze. Ma soprattutto hanno evidenziato la nostra fragilità di esseri umani in preda a circostanze che esulano non solo dal nostro, ma dal controllo di chiunque, a prescindere dal gruppo sociale di appartenenza.

Questa condizione inedita per ognuno di noi ci ha però insegnato molto, o almeno dovrebbe. Innanzitutto ha palesato la nostra interdipendenza e la necessità quindi di prendersi cura dell’altro, che nei momenti di cosiddetta normalità facciamo finta di non vedere. A partire dallo Stato, dalle Amministrazioni centrali e locali fino ai cittadini: solo riscoprendo il valore della Comunità potremo sentirci veramente al sicuro. L’emarginazione sociale, l’esclusione, la non integrazione sono elementi destabilizzanti che vanno a nuocere tutti, a prescindere dallo schieramento politico o dalla tifoseria propagandistica di appartenenza. Gli echi della pandemia che l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) ha intercettato in questi mesi sono stati molto preoccupanti e hanno riguardato soprattutto due principali questioni: l’odio in rete e le discriminazioni istituzionali.

Le teorie complottiste che hanno invaso i social media italiani hanno riproposto l’atavica ricerca ricorrente del capro espiatorio. L’avvelenatore dei pozzi secondo queste teorie è sempre l’«ebreo sionista» e, a seconda del momento, il cinese, il nero, il nero immigrato (clandestino!), il lavoratore sikh dell’Agro Pontino. A dimostrazione della relatività di queste teorie, va ricordato che poco più di un anno fa per i complottisti stranieri eravamo noi italiani gli untori, dipinti spesso come cuochi di ristorante che infettano volontariamente pizze e spaghettate. E qui viene in mente il famoso sermone del pastore Martin Niemöller ('prima vennero a prendere…'). Tonnellate di odio versato in rete a piene mani con i gestori dei social media quasi completamente inermi in nome di una libertà di espressione che 'incidentalmente' li arricchisce.

Ma veniamo alle discriminazioni istituzionali che, se vogliamo, sono più gravi perché toccano la responsabilità di chi è stato eletto per tutelare le Comunità. Ebbene in piena emergenza pandemica e nonostante un’ordinanza della Protezione Civile che metteva a disposizione dei Comuni 400 milioni di euro per aiutare i nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dalla emergenza da virus Covid-19, diverse Amministrazioni comunali, anche di Comuni importanti, hanno deciso di porre condizioni escludenti proprio per le persone più vulnerabili: senzatetto, richiedenti asilo, rom e sinti, apolidi. Non a caso le sentenze dei Tar hanno accolto sempre i ricorsi riconoscendo l’illegalità di tali provvedimenti. Purtroppo diversi amministratori che hanno scelto la strada delle esclusioni conoscono benissimo le leggi, ma hanno deciso di non applicarle per calcoli diciamo così di bottega. Oggi, proprio come ieri, riscontriamo il medesimo approccio nei provvedimenti sull’ edilizia popolare, i bonus bebè, le mense scolastiche... Gentile direttore, nel ringraziarla per lo spazio sul suo giornale, le confesso di non aspettarmi un contesto migliorato, ora che stiamo uscendo dall’emergenza pandemica.

I segnali che arrivano sono preoccupanti. Ci sono professionisti dell’odio che agiscono con troppa libertà in rete e fuori, professando il proprio razzismo e propagandando idee sconfitte con disonore dalla storia. Abbiamo un dibattito pubblico popolato da tifoserie che riescono a dividersi sulle ragioni del suicidio di un ragazzo che avrebbe potuto essere il figlio di ognuno di noi. Spesso ci dimentichiamo il rispetto per le persone, per i drammi e le aspirazioni che riguardano la nostra condizione di esseri umani indistintamente. Tanta riflessione, invece, è necessaria per cercare di migliorare il contesto in cui viviamo. Facciamolo ricordando Moussa Balde un altro figlio che ci ha lasciati perché non abbiamo saputo proteggerlo. A lui dedicheremo la prossima 'Settimana contro il razzismo' che l’Unar organizza ogni anno nel mese di marzo.

Direttore generale Unar

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