2014: una nave americana nel Golfo Persico impegnata in una esercitazione con il Laser Weapon System (LaWS) (foto U.S. Navy di John F. Williams)
Si sta imbarbarendo la guerra. Bombardamenti indiscriminati si stanno alternando in una spirale inarrestabile in Siria e in Yemen, come nei conflitti più dimenticati. Appare lontana l’epoca della 'diplomazia armata' del quindicennio scorso. Per tanti fattori. Si è visto che i nemici, perfino quelli irregolari e asimmetrici, sono diventati più violenti, oltre che capaci militarmente. Assomigliano a tecnoguerriglieri, prima impalpabili, ora molto più insidiosi. Sembra che nemmeno il mondo tragico dei conflitti armati sia stato risparmiato dall’onda travolgente della deregulation sociale che ha stravolto molte conquiste giuridiche.
Si sta combattendo in maniera indiscriminata, senza rispetto per il diritto umanitario. Stiamo toccando abissi distruttivi tali che il diritto internazionale è ormai svilito ad libitum, da tutti i contendenti. C’è un ritorno alla realtà più brutale della guerra, complice la glocalizzazione, che permette di proiettare gli effetti cinetici delle azioni belliche e terroristiche su grande scala. È il fattore tecnico che subentra alla strategia (e all’intelligenza). La domina e la sovverte. La tecnologia sembra dettare i suoi imperativi irrefrenabili ai limiti della sapienza e della legge. Con il potere distruttivo delle armi che cresce nei laboratori e nei teatri di guerra non poteva che prodursi qualcosa di tragico e dirompente. Tanto che alcuni polemologi parlano di rivoluzione operativa nel modo di combattere.
Un tempo, gli eserciti manovravano forze e uomini. Tutto era antropocentrico. Oggi il mix ruota intorno alla manovra del fuoco. Negli ultimi anni c’è stata un’evoluzione sorprendente nel potere delle armi, che si sono fatte più prestanti, millimetriche, affidabili e rapide nel tiro. Con tutto il corredo alienante di nuove artiglierie, aerei, munizioni e missili sempre più letali e costosi. Come se volessimo sotterrare le teorie della guerra limitata di Julian Corbett e riabbracciare in pieno il pensiero di Clausewitz, che vede nella guerra un’ascesa agli estremi. Che cosa ci attende da queste ricerche nichiliste? Peter Singer se l’è chiesto nel romanzo Ghost Fleet, che anticipa le battaglie tecnologiche di domani. Un domani che si fa già oggi, perché il 16 marzo c’è stato un test inatteso nel poligono missilistico statunitense di White Sands. No, non vi sbagliate: è qui che fu testata la prima atomica della storia, nel 1945.
Gli americani stanno facendo passi da gigante nella messa a punto di armi laser, aeree, navali e ora terrestri, che entreranno presto in servizio. Per ora sono armi tattiche, con laser di media potenza e raggio d’azione massimo di 10 km. Siamo lontani dalle farneticazioni reaganiane degli anni ’80-’90 e dell’Iniziativa di difesa strategica. La guerra delle stelle tanto per intenderci. Ma quello che sta avvenendo rivoluzionerà il futuro della guerra, purtroppo anche nei costi, economici e umani.
Sparare con un’arma laser costa meno di un dollaro, contro gli 800mila dollari che si spendono ogni volta che si esplode un missile Hellfire. È un dato allarmante. Quei costi così bassi, quando le armi saranno mature, potrebbero allentare i freni finanziari alle guerre. Un incentivo in più, che certo non ci voleva. Le armi laser saranno impiegate inizialmente contro i droni, le artiglierie, gli sciami di barchini e tanto altro. Ci sono navi già equipaggiate, come l’USS Ponce, che ha sparato il suo raggio della morte due anni fa, nel Golfo Persico. E ci sono tanti filoni di ricerca che sfornano prototipi ormai maturi. La miniaturizzazione è tale che un veicolo terrestre armato di cannoni ad hoc ha battuto da poco i record mondiali di potenza (60 kW). E il test nel New Mexico la dice lunga: «Abbiamo dimostrato che un’arma a energia diretta è ormai abbastanza leggera, potente e affidabile per essere integrata a bordo di semplici veicoli tattici e usata per scopi difensivi a terra, in mare e nell’aria», afferma sorridente Robert Afzal, capo-programma a Lockheed Martin, il colosso delle armi in prima fila con Boeing e Raytheon nelle ricerche settoriali. I militari vagheggiano armi di questo tipo dagli anni ’60. Come nel più segreto dei sancta sanctorum, tutto è avvolto in una luce opalescente.
Di molti progetti si sa pochissimo, supervisionati dal comando per le operazioni speciali, con la partecipazione dell’aeronautica, dell’esercito e del direttorato interforze per le armi non letali. Ma la classe di armamenti è molto ampia, comprensiva di dispositivi non solo laser, ma anche a microonde e a radiofrequenza (bombe-e). Alcuni sono difensivi, altri offensivi. Tutti convertono l’energia elettrica o chimica, trasformandola in un fascio radiante o in impulsi, regolabili ad libitum in potenza. Che bisogno c’era? La verità è che la dirompenza degli esplosivi convenzionali ha raggiunto l’acme di potenza distruttiva e quel limite superiore può esser valicato solo con le armi a energia diretta. La storia militare insegna purtroppo che gli eserciti hanno sempre cercato un potere di fuoco decisivo, da usare in modo devastante sull’avversario, per distruggerlo. Nella guerra robotica ventura, vi saranno sistemi più veloci, più invisibili e più intelligenti. Utilizzabili sinergicamente, eluderanno l’attuale generazione di sistemi d’arma. Al Pentagono hanno esplorato decine di filiere, sborsando negli ultimi tempi circa 1 miliardo di dollari l’anno. A fine decennio, forse intorno al 2025-2030, le armi laser combatteranno alla velocità della luce, cambiando radicalmente la natura della guerra. I dispositivi avranno capacità d’ingaggio selettive e istantanee; agiranno contro bersagli multipli, con un’autonomia sconosciuta alle armi convenzionali.
La minaccia più grave che si profila all’orizzonte è un confronto militare nelle orbite terrestri basse, con l’impiego di armi antisatellitari e un ritorno immediato all’economia degli anni ’50. Cina e Russia hanno programmi avanzati di armi a energia diretta. Le corporazioni del ramo spaziale godono a Pechino di fondi extrabilancio, crescenti e difficilmente conteggiabili, sintomatici di un gigantesco sforzo tecnico-industriale, coordinato dalla Commissione militare centrale. I cinesi stanno sviluppando minisatelliti da 100 chili, armi a impulsi elettromagnetici (bombe-e), veicoli cinetici extra-atmosferici e sistemi a energia diretta che, coordinandosi con le armi cibernetiche, dovrebbero sferrare la tanto temuta Pearl Harbor digitale, foriera di migliaia di vittime. Le bombe-e sono invisibili, non sollevano polveri né scavano crateri. Scatenano picchi di migliaia di volt, propagandoli più velocemente della luce e innescandoli con esplosivi convenzionali o generatori di microonde. Ve ne sono di talmente minute da entrare in una 24ore o di voluminose come un camion. Ma il vero atout sono gli ordigni a caduta e le testate missilistiche. Gli effetti dipendono dalla potenza trasmessa e dalle caratteristiche dell’impulso.
Gli obiettivi si chiamano semiconduttori e apparati elettronici: cavi, circuiti logici, reti, server, processori e memorie digitali. Insomma tutto quello che innerva le nostre società e le nostre vite. L’energia sprigionata da quelle armi produce sia danni fisici, con fusione degli elementi hardware, sia alterazione dei circuiti logici e dei contenuti delle memorie dei computer. Ecco perché le bombe elettromagnetiche fanno gola ai francesi come ai britannici, ai tedeschi e ai cinesi. I primi della classe si chiamano americani e russi, che le piazzano sul mercato per 100mila dollari o poco più. Nella 'Guerra dei Mondi', H.G. Wells anticipava il potere devastante delle armi del suo domani. Descriveva scenari tanto fantasmagorici quanto realisti. Al centro spiccava l’uomo, capace di massacrare in maniera disumana i suoi simili. Wells profetizzava l’arrivo di un’epoca fatta di uomini-macchina, meta-uomini per nulla migliori nelle loro imperfezioni. Aveva in mente gli interrogativi allarmanti che si sarebbero sprigionati dall’avvento dei sistemi autonomi e dei robot mortali che siamo sul punto di mandare in guerra. Fermiamoli.